amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

martedì 2 marzo 2010

Parte 2: Nidi


Perché mi innervosisco quando, alla vigilia del ritorno, mi chiedono se sono felice?
E' difficile da spiegare. Bisognerebbe conoscermi bene, avere a che fare con i miei lunghissimi grovigli.

Sabato pomeriggio mi trovavo in una di quelle grandi librerie dai lunghissimi scaffali tracimanti di titoli e bestseller e ho pensato a questa cosa: io, i nuovi iscritti alla filarmonica, non li amo per niente.
Sono come una grande libreria piena di mensole bianche laccate, tutte uguali come una catena di montaggio, che quando se ne rovina una è già pronta quella nuova a sostituirla... Ben diversa da quel legno roso dai tarli e stipato in angoli angusti che eravamo noi. Noi eravamo una libreria piccola piena di polvere, con l'insegna sbiadita e ogni angolo ammaccato in modo diverso; una di quelle in cui non trovavi mai quello che cercavi perché i libri erano disposti secondo regole arcane, da paradigmi dell'Accademia dei Librai Magici, e ti toccava girare per un pomeriggio intero addocchiando copertine rilegate e titoli sconosciuti e prendere la scala per i ripiani troppo alti, e alla fine ti arrendevi e andavi a chiedere e quello che cercavi mancava comunque, così ti toccava ordinarlo; eppure anche questo faceva parte dell'amore per quel libro: anche l'attesa.
Non era tutto pronto in ordine alfabetico come in queste nuove librerie di lacca con le loro velleità di virtuosismi musicali, così ignare di quanto sudore, quanta ingenuità, quanta speranza ci sia costato quel giocattolo che tengono fra le mani. Arrivano come musicisti navigati, cantanti navigati, dopo un mese di lezioni distribuiscono sofismi e pareri illuminati.
Ma dov'è quell'amore da divisa troppo grande da portare con le maniche arrotolate per tenere in mano un sax, un violino, senza impigliarsi? Quell'amore viscerale che ti spingeva anche a cambiare strumento, ad abbandonare quella parte di te, il prolungamento delle tue dita, della tua pelle, quell'odore di legno e di corde bruciate dall'uso che era diventato il tuo stesso odore, pur di farne parte e di aiutarla a nascere?
Dove sono, nelle librerie laccate, i pomeriggi a trasportare in cinque un violoncello sui tetti pericolanti di vecchi teatri abbandonati in mancanza di posti migliori in cui provare? Quelle finestrelle da cui parlare con i gatti, il primo concerto conquistato con l'orchestra, quei malori prima delle esibizioni sotto le maledette luci peggio dei caloriferi, e il dito bagnato che scivola e l'occhio s'appanna ma tu ci vai lo stesso, ti senti male ma ci vai lo stesso, e se un secondo fa ti sostenevano a braccia ora stai lì, spavalda e dimentica mentre suoni, e chi ti ferma più se oltre alla tua hai anche la forza di quel gruppo compatto come una presa di cemento, dei primi amori, dei litigi fra una nota e una stecca, e un leggio che cade con un tonfo sparpagliando spartiti come rondini.
Quel caos primordiale dell'accordare gli strumenti che spariva nell'esatto secondo in cui Giulio sollevava la bacchetta - quanto ci avevi messo a chiamarlo Giulio, dopo tre anni sui banchi, che ancora adesso a incontrarlo ti scappa quel prof, e in fondo ti piace che sia prof
prima che Giulio: ti è sempre stato indispensabile avere, prima di tutto, buoni maestri per cui lanciarti nel fuoco.
Le buone librerie, quelle in legno di ciliegio e drappi bordeaux alla porta, io penso esistano ancora.
Ne ritrovo frammenti a volte: una frase quasi distratta di un'amica, un abbraccio con Francesco. Frammenti perfino in sauna, con quel profumo di pane che ti avvolge appena apri la porta, il legno caldo, la luce soffusa, l'intimità dell'appuntamento, sarà un abbaglio non importa, lo so che non è una libreria intera, ma qualche volta ti basta il frammento. Ti basta il Mariachi che scende con noi lo stesso perché è lunedì, e casomai tornerà a correre dopo, e invece alla fine si ferma a chiacchierare e si sparano battute terribili, di caldo e di buio e di stanchezza, e poi quel "ma non è che ora smetti di venire, vero?" che sa un po' di polvere e legno tarlato.
Questo è il motivo.
Questo pensavo di fronte allo scaffale laccato, quasi ospedaliero, indecisa fra un Ammaniti e un Simenon, e alla fine non ho comprato nessuno dei due perché i bei libri meritano anche di essere acquistati in belle librerie.

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