amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

venerdì 28 maggio 2010

Belli come il sole

McB: Ciao P sono McBesame.
P: Ciao caro, che bello sentirti!!
McB: Già. Ma sono qui con N.
P: Oooh, ecco! Come siete belli voi due assieme!!!
McB: Coff. Sì eh, infatti.
P: Ma tanto!!! Dovreste pensarci.

Sembra che se uno non fa almeno una battuta su McBesame e me non sia degno di far parte dell'e.r. D'altra parte, come fai a non amare uno che chiede perdono per non aver finito un lavoro in tempo con la scusa che "la vita è breve"?

martedì 25 maggio 2010

Chissà quali odori trovi tu. Quali odori diversi.
Ci pensavo guidando in una strada sterrata fra due ali di campi impestati di concime naturale che in fondo, a noi che ci siamo cresciuti, sembra quasi buono a volte.
Eri appena partito e mi sentivo talmente frastornata da non riuscire più a trovare l'Uvetta, lì nel grande parcheggio sotto l'arsura delle due del pomeriggio. E' una canicola che zittisce tutto: piante, uccelli, automobili. Nulla si muove sotto il solleone, anche il vento, anche il passo, si azzoppa.
Mi sono sentita sola.
Lì, persa nell'immobilità, mi sono sentita sola.
Anche più tardi, con il gatto pezzato che sbucava dalla gramigna e pensavo a tutti quelli che, la notte, ti diverti a spaventare, forse più per spaventare me. Mi sono sentita sola tanto da sperare in una qualche pattuglia che mi fermasse, che li trovo nei momenti meno opportuni ad avere voglia di chiacchierare e invece se ti servono non ne trovi l'ombra, così finisci per attaccare il navigatore in una strada che conosci a memoria, solo per sentire quella consolante voce spagnola che sa di iuta sfregata e pelo di gatto, e di una stanza in cui il sole entra ad illuminare le sedie di legno.
Be', naturalmente il gps non funzionava; ha pensato bene di scovare il satellite giusto in tempo per annunciarmi che ero arrivata a mi destino. Son sottigliezze preziose. E una settimana è andata.

Coerenza


La Chiesa difende la vita del feto in quanto essere umano.
Poi però il prete che officia il funerale di un soldato morto in Afghanistan asserisce che "è vissuto per gli altri ed è morto per gli altri". Ad uno mandato lì per sparare.
Ah no, ma era una missione di pace. Cosa diamine ci andrà a fare il Tomtom in quei posti sperduti per tanti mesi, visto che ci sono già loro!

martedì 18 maggio 2010

Solo per oggi

Solo per oggi, vorrei un lavoro manuale.
Uno che ti impegni incondizionatamente e ti faccia stramazzare di fatica e poi, alla fine, ti lasci qualcosa, un risultato da stringere, una sensazione esultante fra il gocciolare della fronte.
Sono andata al lavoro sotto quella luce comparsa così, de repente direbbero gli spagnoli, a tagliarti gli occhi ancora pieni di pioggia. Il ragazzo aveva un berretto ed una tuta da lavoro per strappare erbacce dal ciglio della strada: non un'occupazione invidiabile. Eppure, io lo invidiavo.
Ricordo quando andavo al lavoro in bicicletta, lì all'associazione, con la gonna a ruota e i muratori che mi cantavano bella ciao come in una scena d'altri tempi: era tutto più semplice.

Non è che lo rimpianga, nemmeno per un secondo. Non è che non sia assurdamente felice che questa volta siano solo 3 mesi; so che lo ha fatto per me. So che è importante, che 3 mesi volano in un attimo e quasi non te ne accorgi, ormai lo so. Non mi ci abituo, ma lo so. Chissà, potrei perfino diventare più gentile e meno egoista con quei soldati che muoiono, ragazzi giovani, poveri cristi che partono per avere due soldi, invece di pensare che loro, be', loro vanno a portare la guerra e ce la fanno chiamare pace, ce la fanno chiamare eroismo, patria, giustizia e lui invece rischia la vita proprio perché esiste gente come loro a combinare casini da risolvere, a stracciare paesi, popoli, persone da rimettere in piedi.
Solo che ieri ho passato due ore a camminare e fotografare le mura illuminate contro un buio più prepotente del solito, presa in mezzo alla provvisorietà in cui barcollare come un ubriaco di notte, ai pezzi di conversazione ancora nell'aria, agli abbracci ai saluti e alle finestre illuminate come rumori di fondo. In mezzo a giardini su cui sdraiarsi in due e un po' di fortuna per trovare parcheggio ed occhi chiusi e resistenze, cose che vanno a posto e nuove cose da aggiustare. E non sarò mai troppo stanca di stare ad aspettare, ma lui se n'era appena andato ed io, io non mi ero mai sentita tanto sola.

lunedì 10 maggio 2010

(24.04.2010)


Pistoia, l'ultimo giorno, è carina ma la vediamo poco a causa del mercato che ricopre mezza piazza e di tutti i carabinieri e poliziotti della provincia che ricoprono l'altra metà per via di un ministro che sta per arrivare (...e io pago!). Siamo anche assonnati dai discorsi protratti fino a tarda notte, ma è ugualmente interessante scoprire come la piazza comprenda sia il potere spirituale che quello temporale: palazzi comunali, chiese e battisteri sono lì, a fronteggiarsi e contendersi lo spazio da un'immaginaria linea che la divide a metà. Nel Battistero poi scoviamo una simpatica mostra sulle campane del mondo, pure i nostri bei campanacci!
Stanchi sì, siamo stanchi, ma ancora con l'idea che qualcosa stia per succedere. Ancora con i tentativi maldestri di cercare, di trovare intimità con i luoghi che attraversiamo, con i profumi di fieno, di pane, i rumori sbiaditi dei vicoli più alti. Con la voglia di toccare le piante e le pareti, per partecipare alla loro esistenza segreta e quotidiana.

Firenze... cosa posso dire di Firenze che non sia stato detto? E' come Venezia, anzi peggio perché Venezia è mia come lo può essere di chi ci va abbastanza spesso da conoscerne alcuni angoli ignoti ai turisti ma è ancora in grado, ed ha ancora voglia, di perdercisi.
Mi piacerebbe conoscere Firenze nello stesso modo.

(ad ogni modo le straniere, a Firenze, sono molto sfacciate nel guardare gli uomini altrui, non me n'ero mai accorta prima)
Troppo presi da una discussione politica, saltiamo l'uscita per Bologna e ci tocca arrivare fino a Modena. Cantando canzoni che non sentivi da anni, cantarle con allegria perché non è ancora finita, perché è anche questa una festa, un modo per stare insieme. Anche sbagliare strada, che non lo dici ma sei felice perché guadagni minuti tutti da bere, da grattare via al tempo che scorre inesorabile, da mordere per tenerne un po' con te. Perché ti piace vederlo guidare. Perché ti piace, punto e basta.


"Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in ricordo, in memoria, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quello che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito."
José Saramago

mercoledì 5 maggio 2010



(23.04.2010)


"Chi viaggia senza incontrare l'altro, non viaggia, si sposta."

Alexandra David-Néel

Mi sveglio pensando che tutti questi sentimenti ci sono e non posso fare finta di niente, ci sono e sono terribili anche, portano paura e dolore e sgomento e qualche volta ti mettono con le spalle al muro. Eppure darei qualsiasi cosa per rimanere così, abbracciata alle spalle che da sempre, da subito si sono portate via le mie scelte come una specie di viaggio da voler vedere in estate, e poi in autunno, con la pioggia, con le nuvole gonfie, con la nebbia, tra gli alberi in fiore e gli arbusti brulli d'agosto.
Ma è un nuovo giorno, che porta una nuova torre: proprio non lo voglio capire che soffro di vertigini dai 10cm in su... infatti il Tomtom si diverte ad immortalare i miei primi, impanicatissimi minuti in cima alla Torre di Pisa dove né la pioggia né le persone che mi urtavano sono riuscite nell'intento di farmi spostare di 1mm da una salda posizione centrale fra i due strapiombi che mi circondavano. Solo 56m e 293 scalini questa volta, ma resi scivolosi dal tempaccio.

Io, infatti, esco in versione cappuccetto rosa-fragola, bardata ed insciarpata per combattere pioggia e mal di pancia; sarà per questo motivo che incontro un secondo gatto sfacciato, di quelli troppo abituati ai turisti per trovarti interessante.
La pioggia, qui, sembra più leggera: bisognerebbe fare collezione delle piogge del mondo per vedere le differenze tra la pioggia che inzuppa, quella che infastidisce, quella che colpisce punteggiata di ghiaccio, quella che porta pulviscolo o, come doni, gli avvenimenti degli altri. Li lava via e cola sui semafori, tintinna tra i bicchieri dimenticati all'aperto nel Bar al Duomo, piega le mappe e le piante nelle aiuole, poi corre verso i tombini vibrando. Tutte queste cose, io le metterei in una serie di flaconi, lì in fila, a raccontarmi il mondo. La pioggia di Pisa non può essere uguale alla pioggia del Cairo, non può cantare allo stesso modo.

Ci penso mentre fotografo le colonne, il Battistero, le persone: forse la bellezza, in questi posti, è nell'anima di chi ha contribuito a crearli.

Dopo un paio di focaccine gustate clandestinamente in macchina e altri Vernacolieri sparsi per le edicole torniamo verso Lucca per una bellissima strada alberata dove incontriamo, tuttavia, cinque brutti incidenti. Come diamine guidano in questi posti?
Prima di un secondo giro per Lucca passiamo per la camera, rimanendo fregati nel senso che a fermarsi un attimo poi non ci si muoverebbe più; eppure, ecco, quell'oretta trascorsa a leggere e fare zapping senza volume poiché il Tomtom si era addormentato profondamente al mio fianco vale un po' tutti i monumenti del mondo. Intenerita come sono, non ci penso neanche a svegliarlo e rubare quel momento. Bisogna avere cura dei momenti belli.
E' vero che non sono mancati i grossi, grossi incidenti diplomatici tipo quando si è messo a fare paragoni con le sue ex e nel bel mezzo della notte me ne sono andata in sala colazione finché non è venuto a prendermi con aria contrita e chiedendomi di stare con lui, ma si sa, è difficile amare qualcuno di così diverso da te. Ti si aggrappa in gola e gratta e devi imparare a farci i conti, e chissà, magari è per questo che non avevamo mai i bicchieri vuoti.
La Piazzetta Anfiteatro infatti fa da cornice all'aperitivo, con quel mercato dei fiori e delle piante grasse su cui si aprono le numerose botteghe ed enoteche disposte a cerchio, tutte gialle. Proseguiamo con un conto di quelli che ricordi e che ha però ben valso la serata in quel posticino rustico e pieno di Lucine che è l'Osteria Baralla dove, finalmente, ci hanno servito una fiorentina epocale, un vino che andava giù che era un piacere ed un olio che berresti anche al posto dell'acqua. Inoltre la cameriera era simpatica, ed il Tomtom ed io abbiamo passato la serata in dialoghi piacevoli, animati, interessanti, come quel giornalista spagnolo che lui ama molto e che adesso, dopo che mi ha raccontato quel suo articolo, ha fatto amare anche a me.



La fotografia: A volte lo fraintendo. Nel bene e nel male. A volte lui mi dice una cosa ed io ne capisco, o ne interpreto, un'altra. Me lo rimprovera spesso.
Ci sono delle volte, però, in cui gli scappa una cosa bella che io poi, in un momento di lucidità, penso che conoscendolo forse non era proprio quello che intendeva, forse la spiegazione è molto più semplice e banale, e tuttavia fingo di non averlo pensato per potermi tenere quella prima interpretazione che preferisco.
Così è successo che la seconda volta in cui eravamo troppo satolli per darci ai nostri cantucci e vin santo sul letto come mi sarebbe piaciuto, lui ha buttato lì questo lapsus pieno di tepore nel rassicurarmi che li avremmo mangiati a casa nostra.
A volte, a parlarne troppo, ho paura di perderlo. Di sciupare qualcosa.

martedì 4 maggio 2010


(22.04.2010)

Già il terzo giorno, e questa volta il felino non viene a trovarci, peccato, mi sarebbe piaciuto salutarlo. Scoviamo un B&B a Lucca e partiamo, stanchi per la nottataccia da "digestione di fiorentina in atto" e prendendocela un po' più comoda delle previsioni iniziali, infatti la camminata tra le colline salta in favore di una semplice passeggiata sul lungomare di Livorno.

Livorno.
Andiamo incontro a una giornata tersa e ventosa, di luce e capelli spettinati. In una mano la fotocamera, l'altra libera per afferrarci camminando. Il vento schiaffeggia i cartelli stradali, schiva i pennoni delle barche ancorate, straccia i manifesti e inumidisce la statua di bronzo dei Quattro Mori.
Ci tenevo molto ad andarci, per cui l'impatto è un po' spaesante: la città non si muove all'unisono con il vento, oppone una feroce resistenza al disgregarsi risultando così arruffata e spoglia, con abitanti scorbutici e priva di quei localini pittoreschi di cui dovevano formicolare le rive dei canali. Non mi piace, ma mi piace. Mi appare brutta ma so che, se ci vivessi, l'amerei: il mare è un modo di vedere e vivere le cose. Come noi diciamo colline, sentieri, casolari, e serate docili nei centri storici, loro hanno le voci salmastre e i modi scompigliati, e la pelle ruvida del porto.
Respirare il mare fa scomparire il resto del mondo. Solo mare da inghiottire a pieni polmoni, e terrazze e vento e un gatto sfrontato abituato ai turisti che si lascia fotografare mentre si impigrisce al sole come una diva dei tempi andati.
Lucca, invece, è una scoperta. Piccola e da fotografare, in ogni via, ogni bottega, ogni grondaia pencolante. I raggi del sole per arrivare in fondo alle viuzze devono piegarsi e abbassarsi sotto le arcate, schivando davanzali, carezzando vasi di fiori in disordine, rimbalzando sull'acciottolato e scivolando sulle tegole bagnate dei tetti. Sono raggi scarsi che sbattono il naso contro la vecchia insegna di un portico che sembra aver preso la forma dalle persone che ci hanno camminato sotto.
In fondo non succede così anche con noi? Non prendiamo, noi stessi, la forma che abbiamo in base agli scontri che ci succedono e a quelli che schiviamo e agli altri più morbidi che chiamiamo abbracci e ai movimenti che ci vivono tutt'intorno?
Prendiamo un aperitivo di fianco alla chiesa mentre mia madre mi telefona per dirmi che la gatta non si muove mai dalla porta, rimane lì ad aspettarmi con l'ostinazione che può avere una gatta che ha adottato una famiglia per metà trentina, e ovviamente riesce nel suo intento di farmi sentire in colpa e di lamentare due o tre "Povera, povera la mia micina sola e abbandonata!" gonfi di pentimento.
Tra vent'anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite. (Mark Twain)
Tra vent'anni, cosa penserò di questo momento?



La fotografia: Una strega alta 30cm è appesa sotto una zona coperta del mercato portuale. Mi perdo ad immaginare la scena in cui, alcuni mesi fa, ad un mercato domenicale irrompe il brutto tempo e le bancarelle sbaraccano in tutta fretta. Una donna non riesce a slacciare quel nodo troppo stretto che lega il pupazzo al palo e allora il marito le grida di andare ad aiutarlo a smontare il bancone, che poi a quello ci penserà lui.
Invece tutti se ne dimenticano, scappando dall'uragano improvviso, e lei rimane lì a farsi scalciare dal vento perenne del mare.


(21.04.2010)

Svegliarsi la mattina fra braccia così calde, così docili a contenerti e adattarsi ad ogni tuo angolo ed ogni tua curva abolisce qualsiasi problema che ronza eternamente per la tua testa.
Gli uomini della tua vita ne hanno fatto parte in modi differenti.
Per le loro parole, il loro sapore, quel modo di muoversi; ognuno ti riconduce a luoghi diversi, a cibi diversi. Non ho mai incontrato qualcuno con lo stesso modo di guardarmi, di toccarmi, di mangiare insieme a me, e la mattinata inizia con la consapevolezza di qualcosa di speciale.

Parcheggiamo veramente troppo lontano dal centro di Siena: 45 minuti a piedi da aggiungere alle successive 7 ore ad inerpicarci per le sue pittoresche pendenze striate di colori, dall'onorata Contrada del Bruco in poi. Tante salite, ma amo le salite: come diceva Terzani, con una salita c'è speranza. Ti tiene all'erta. Scendere è più facile, ma poi ti trovi in un buco.

Le scie degli aerei, intanto, pian piano ripopolano i cieli.
La città è incantevole, e attraversando la zona universitaria capisco che se avessi studiato lì non sarei più stata in grado di andarmene. Esistono cose, mai successe, che conosco con certezza: non è un problema di "se", perché i se non mi attirano poi molto. Per esempio, so che se avessi continuato a suonare alla Filarmonica non avrei incontrato il Tomtom. E' una questione di intricati calli e rii che mi hanno portata a conoscerlo e che, probabilmente, in quel caso non avrei attraversato.
Entri in Piazza del Campo e ti ritrovi in mezzo ad un dialogo di voci diverse e colori tutti intrecciati. Con le guance piene degli immancabili panini (ma che odissea farseli tagliare!), lì seduta penso a Calvino, cui ho rubato in parte l'espressione, e penso che non sono i monumenti a fare di una città, di un viaggio, il significato che acquisiscono per te. Per quanto numerosi, e belli, sono le domande e le risposte che ci trovi in mezzo.
Leggo divertita a voce alta come i corpi laterali del Palazzo Ducale fossero in origine a due piani, e siano stati rialzati nel 1680 per bilanciare i palazzi circostanti: in fondo, come al giorno d'oggi, è sempre una questione di misure. Dopodiché, visto che soffro di vertigini, mi faccio tutti i 400 scalini necessari per vedere Siena abbarbicata dagli 83 metri di altezza della Torre del Mangia, il campanile, che prende il nome dal suo primo campanaro (detto, chissà perché, il Mangiaguadagni). Lo spettacolo è stupefacente, con il salmone delle case che si tuffa armoniosamente verso le pendici verdi che lo cingono tutt'intorno.
Più tardi mi lascio catturare da una famiglia francese che, seduta in fila di fronte al meraviglioso Duomo, è composta da madre, padre e tre bambine, ognuno rigorosamente con la sua matita ed il suo blocco per gli schizzi a riprodurne, a suo modo, la facciata. La scena fa da contraltare all'uomo incrociato nei giardini della Fortezza: mi immergo nella sua solitudine e nell'assoluta tristezza del suo sguardo per alcuni minuti, e ne esco in parte sollevata e salva, in parte schiantata. Mi chiedo quanti altri sguardi così io abbia incrociato a casa senza accorgermene: l'ho notato solo perché lontano? Bisogna per forza guardare da lontano per mettere a fuoco le cose?
E' vero che le cose sembrano sempre più belle nel ricordo, che i ricordi appaiono sempre più piacevoli del presente? Sono una persona nostalgica, ma anche severa: non ci riuscirei, per me non è così. Questa notte ho sognato di trovare, in un piccolo scrigno in cui tengo dei ricordi, tre schede SD. Ognuna era stata lasciata da uno dei tre uomini più importanti della mia vita amorosa, e ok, la storia delle schede SD fa un po' ridere ma non mi fa ridere per niente il fatto che, nel sogno, il Tomtom mi avesse lasciato la scheda più grande. Certo che il passato portava un'ingenuità e una gaiezza che mi mancano. Certo che continuo a provare un grande affetto per ciò che è stato. Questo, però, non mi impedisce di vedere quello che ho guadagnato andando avanti, crescendo in consapevolezza. Non sarò mai d'accordo.
Rientrando ci fermiamo per la seconda volta all'alimentari che ci aveva fornito i panini perché vogliamo comprare pici e panforte da portare a casa, e cantucci e vin santo con cui festeggiare un letto sfatto. Il proprietario, per qualche motivo, si ricorda di noi e mi domanda se mi sia gustata la passeggiata. Per qualche altro motivo mi fa davvero, davvero piacere che ci abbia riconosciuti, e così chiacchieriamo per un po' prima di riprendere la via.
Il tempo continua ad assisterci, perciò cerchiamo un agriturismo perdendoci inesorabilmente fra le collinette da cui gustiamo un intenso tramonto. Alla fine ne scoviamo uno per la prima fiorentina della vancanza: voto sufficiente, e poi che chiacchieroni!
E' la seconda notte che rientriamo all'albergo e sembra già un po' casa, con quell'albero piegato sopra una parte del tetto. Gente strana questi senesi: perché mai riempire le stanze di foto raffiguranti occhi di cavallo? Troppo sazi per i cantuccini ci ridiamo all'ambaradan, e il Tomtom, che sa che mi sento un po' triste, rimane lì a coccolarmi e tenermi abbracciata, e poi fa una cosa che non fa quasi mai e che per questo ricorderò sempre. Perché non sono le persone a fare i viaggi, diceva Steinbeck, ma sono i viaggi che fanno le persone.
Buonanotte.



La fotografia: Appena svegli, ci trasferiamo dal letto alla piscina termale riscaldata solo per noi e mentre sguazziamo in libertà un gatto bianco passeggia all'esterno e si ferma, incuriosito di noi. E' come se sapesse a cosa sto pensando: credo che i gatti lo capiscano. E' un concetto che ha a che fare con la frase di Steinbeck, e che ha a che fare con la differenza tra direzione e meta, tra percorso e punto d'arrivo. Sono i primi ad esistere: è il percorso; l'arrivo non è altro che un pretesto.
E' il motivo per cui i gatti passeggiano. Non m'importa dove arriveremo, finché siamo insieme. Non è il vedere due volte un albergo a farti venire voglia di chiamarlo casa, ma il modo in cui l'hai vissuto e la persona con cui l'hai condiviso.
Il Tomtom si avvicina al bordo vasca ed inizia a dialogare con la bestiola che rimane lì per diversi minuti, in qualche modo a rispondergli.
Non potrei mai stare con qualcuno che non sa dialogare con un gatto.

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