amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

mercoledì 5 maggio 2010

Diario di viaggio - Quarto giorno



(23.04.2010)


"Chi viaggia senza incontrare l'altro, non viaggia, si sposta."

Alexandra David-Néel

Mi sveglio pensando che tutti questi sentimenti ci sono e non posso fare finta di niente, ci sono e sono terribili anche, portano paura e dolore e sgomento e qualche volta ti mettono con le spalle al muro. Eppure darei qualsiasi cosa per rimanere così, abbracciata alle spalle che da sempre, da subito si sono portate via le mie scelte come una specie di viaggio da voler vedere in estate, e poi in autunno, con la pioggia, con le nuvole gonfie, con la nebbia, tra gli alberi in fiore e gli arbusti brulli d'agosto.
Ma è un nuovo giorno, che porta una nuova torre: proprio non lo voglio capire che soffro di vertigini dai 10cm in su... infatti il Tomtom si diverte ad immortalare i miei primi, impanicatissimi minuti in cima alla Torre di Pisa dove né la pioggia né le persone che mi urtavano sono riuscite nell'intento di farmi spostare di 1mm da una salda posizione centrale fra i due strapiombi che mi circondavano. Solo 56m e 293 scalini questa volta, ma resi scivolosi dal tempaccio.

Io, infatti, esco in versione cappuccetto rosa-fragola, bardata ed insciarpata per combattere pioggia e mal di pancia; sarà per questo motivo che incontro un secondo gatto sfacciato, di quelli troppo abituati ai turisti per trovarti interessante.
La pioggia, qui, sembra più leggera: bisognerebbe fare collezione delle piogge del mondo per vedere le differenze tra la pioggia che inzuppa, quella che infastidisce, quella che colpisce punteggiata di ghiaccio, quella che porta pulviscolo o, come doni, gli avvenimenti degli altri. Li lava via e cola sui semafori, tintinna tra i bicchieri dimenticati all'aperto nel Bar al Duomo, piega le mappe e le piante nelle aiuole, poi corre verso i tombini vibrando. Tutte queste cose, io le metterei in una serie di flaconi, lì in fila, a raccontarmi il mondo. La pioggia di Pisa non può essere uguale alla pioggia del Cairo, non può cantare allo stesso modo.

Ci penso mentre fotografo le colonne, il Battistero, le persone: forse la bellezza, in questi posti, è nell'anima di chi ha contribuito a crearli.

Dopo un paio di focaccine gustate clandestinamente in macchina e altri Vernacolieri sparsi per le edicole torniamo verso Lucca per una bellissima strada alberata dove incontriamo, tuttavia, cinque brutti incidenti. Come diamine guidano in questi posti?
Prima di un secondo giro per Lucca passiamo per la camera, rimanendo fregati nel senso che a fermarsi un attimo poi non ci si muoverebbe più; eppure, ecco, quell'oretta trascorsa a leggere e fare zapping senza volume poiché il Tomtom si era addormentato profondamente al mio fianco vale un po' tutti i monumenti del mondo. Intenerita come sono, non ci penso neanche a svegliarlo e rubare quel momento. Bisogna avere cura dei momenti belli.
E' vero che non sono mancati i grossi, grossi incidenti diplomatici tipo quando si è messo a fare paragoni con le sue ex e nel bel mezzo della notte me ne sono andata in sala colazione finché non è venuto a prendermi con aria contrita e chiedendomi di stare con lui, ma si sa, è difficile amare qualcuno di così diverso da te. Ti si aggrappa in gola e gratta e devi imparare a farci i conti, e chissà, magari è per questo che non avevamo mai i bicchieri vuoti.
La Piazzetta Anfiteatro infatti fa da cornice all'aperitivo, con quel mercato dei fiori e delle piante grasse su cui si aprono le numerose botteghe ed enoteche disposte a cerchio, tutte gialle. Proseguiamo con un conto di quelli che ricordi e che ha però ben valso la serata in quel posticino rustico e pieno di Lucine che è l'Osteria Baralla dove, finalmente, ci hanno servito una fiorentina epocale, un vino che andava giù che era un piacere ed un olio che berresti anche al posto dell'acqua. Inoltre la cameriera era simpatica, ed il Tomtom ed io abbiamo passato la serata in dialoghi piacevoli, animati, interessanti, come quel giornalista spagnolo che lui ama molto e che adesso, dopo che mi ha raccontato quel suo articolo, ha fatto amare anche a me.



La fotografia: A volte lo fraintendo. Nel bene e nel male. A volte lui mi dice una cosa ed io ne capisco, o ne interpreto, un'altra. Me lo rimprovera spesso.
Ci sono delle volte, però, in cui gli scappa una cosa bella che io poi, in un momento di lucidità, penso che conoscendolo forse non era proprio quello che intendeva, forse la spiegazione è molto più semplice e banale, e tuttavia fingo di non averlo pensato per potermi tenere quella prima interpretazione che preferisco.
Così è successo che la seconda volta in cui eravamo troppo satolli per darci ai nostri cantucci e vin santo sul letto come mi sarebbe piaciuto, lui ha buttato lì questo lapsus pieno di tepore nel rassicurarmi che li avremmo mangiati a casa nostra.
A volte, a parlarne troppo, ho paura di perderlo. Di sciupare qualcosa.

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