amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

martedì 4 maggio 2010

Diario di viaggio - Secondo giorno


(21.04.2010)

Svegliarsi la mattina fra braccia così calde, così docili a contenerti e adattarsi ad ogni tuo angolo ed ogni tua curva abolisce qualsiasi problema che ronza eternamente per la tua testa.
Gli uomini della tua vita ne hanno fatto parte in modi differenti.
Per le loro parole, il loro sapore, quel modo di muoversi; ognuno ti riconduce a luoghi diversi, a cibi diversi. Non ho mai incontrato qualcuno con lo stesso modo di guardarmi, di toccarmi, di mangiare insieme a me, e la mattinata inizia con la consapevolezza di qualcosa di speciale.

Parcheggiamo veramente troppo lontano dal centro di Siena: 45 minuti a piedi da aggiungere alle successive 7 ore ad inerpicarci per le sue pittoresche pendenze striate di colori, dall'onorata Contrada del Bruco in poi. Tante salite, ma amo le salite: come diceva Terzani, con una salita c'è speranza. Ti tiene all'erta. Scendere è più facile, ma poi ti trovi in un buco.

Le scie degli aerei, intanto, pian piano ripopolano i cieli.
La città è incantevole, e attraversando la zona universitaria capisco che se avessi studiato lì non sarei più stata in grado di andarmene. Esistono cose, mai successe, che conosco con certezza: non è un problema di "se", perché i se non mi attirano poi molto. Per esempio, so che se avessi continuato a suonare alla Filarmonica non avrei incontrato il Tomtom. E' una questione di intricati calli e rii che mi hanno portata a conoscerlo e che, probabilmente, in quel caso non avrei attraversato.
Entri in Piazza del Campo e ti ritrovi in mezzo ad un dialogo di voci diverse e colori tutti intrecciati. Con le guance piene degli immancabili panini (ma che odissea farseli tagliare!), lì seduta penso a Calvino, cui ho rubato in parte l'espressione, e penso che non sono i monumenti a fare di una città, di un viaggio, il significato che acquisiscono per te. Per quanto numerosi, e belli, sono le domande e le risposte che ci trovi in mezzo.
Leggo divertita a voce alta come i corpi laterali del Palazzo Ducale fossero in origine a due piani, e siano stati rialzati nel 1680 per bilanciare i palazzi circostanti: in fondo, come al giorno d'oggi, è sempre una questione di misure. Dopodiché, visto che soffro di vertigini, mi faccio tutti i 400 scalini necessari per vedere Siena abbarbicata dagli 83 metri di altezza della Torre del Mangia, il campanile, che prende il nome dal suo primo campanaro (detto, chissà perché, il Mangiaguadagni). Lo spettacolo è stupefacente, con il salmone delle case che si tuffa armoniosamente verso le pendici verdi che lo cingono tutt'intorno.
Più tardi mi lascio catturare da una famiglia francese che, seduta in fila di fronte al meraviglioso Duomo, è composta da madre, padre e tre bambine, ognuno rigorosamente con la sua matita ed il suo blocco per gli schizzi a riprodurne, a suo modo, la facciata. La scena fa da contraltare all'uomo incrociato nei giardini della Fortezza: mi immergo nella sua solitudine e nell'assoluta tristezza del suo sguardo per alcuni minuti, e ne esco in parte sollevata e salva, in parte schiantata. Mi chiedo quanti altri sguardi così io abbia incrociato a casa senza accorgermene: l'ho notato solo perché lontano? Bisogna per forza guardare da lontano per mettere a fuoco le cose?
E' vero che le cose sembrano sempre più belle nel ricordo, che i ricordi appaiono sempre più piacevoli del presente? Sono una persona nostalgica, ma anche severa: non ci riuscirei, per me non è così. Questa notte ho sognato di trovare, in un piccolo scrigno in cui tengo dei ricordi, tre schede SD. Ognuna era stata lasciata da uno dei tre uomini più importanti della mia vita amorosa, e ok, la storia delle schede SD fa un po' ridere ma non mi fa ridere per niente il fatto che, nel sogno, il Tomtom mi avesse lasciato la scheda più grande. Certo che il passato portava un'ingenuità e una gaiezza che mi mancano. Certo che continuo a provare un grande affetto per ciò che è stato. Questo, però, non mi impedisce di vedere quello che ho guadagnato andando avanti, crescendo in consapevolezza. Non sarò mai d'accordo.
Rientrando ci fermiamo per la seconda volta all'alimentari che ci aveva fornito i panini perché vogliamo comprare pici e panforte da portare a casa, e cantucci e vin santo con cui festeggiare un letto sfatto. Il proprietario, per qualche motivo, si ricorda di noi e mi domanda se mi sia gustata la passeggiata. Per qualche altro motivo mi fa davvero, davvero piacere che ci abbia riconosciuti, e così chiacchieriamo per un po' prima di riprendere la via.
Il tempo continua ad assisterci, perciò cerchiamo un agriturismo perdendoci inesorabilmente fra le collinette da cui gustiamo un intenso tramonto. Alla fine ne scoviamo uno per la prima fiorentina della vancanza: voto sufficiente, e poi che chiacchieroni!
E' la seconda notte che rientriamo all'albergo e sembra già un po' casa, con quell'albero piegato sopra una parte del tetto. Gente strana questi senesi: perché mai riempire le stanze di foto raffiguranti occhi di cavallo? Troppo sazi per i cantuccini ci ridiamo all'ambaradan, e il Tomtom, che sa che mi sento un po' triste, rimane lì a coccolarmi e tenermi abbracciata, e poi fa una cosa che non fa quasi mai e che per questo ricorderò sempre. Perché non sono le persone a fare i viaggi, diceva Steinbeck, ma sono i viaggi che fanno le persone.
Buonanotte.



La fotografia: Appena svegli, ci trasferiamo dal letto alla piscina termale riscaldata solo per noi e mentre sguazziamo in libertà un gatto bianco passeggia all'esterno e si ferma, incuriosito di noi. E' come se sapesse a cosa sto pensando: credo che i gatti lo capiscano. E' un concetto che ha a che fare con la frase di Steinbeck, e che ha a che fare con la differenza tra direzione e meta, tra percorso e punto d'arrivo. Sono i primi ad esistere: è il percorso; l'arrivo non è altro che un pretesto.
E' il motivo per cui i gatti passeggiano. Non m'importa dove arriveremo, finché siamo insieme. Non è il vedere due volte un albergo a farti venire voglia di chiamarlo casa, ma il modo in cui l'hai vissuto e la persona con cui l'hai condiviso.
Il Tomtom si avvicina al bordo vasca ed inizia a dialogare con la bestiola che rimane lì per diversi minuti, in qualche modo a rispondergli.
Non potrei mai stare con qualcuno che non sa dialogare con un gatto.

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