amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

venerdì 30 aprile 2010


(20.04.2010)

I cieli non si riaprono e martedì decidiamo di non lasciarci accerchiare; i bagagli sono già pronti per partire verso una crociata tutta nuova: Toscana on the road.
Si parte! In autostrada scopriamo che il Tomtom (quello tecnologico, non il mio in carne ed ossa: da quel momento diventa Tomtom II, un po’ più in giù nella dinastia rispetto all’originale) ha inavvertitamente perso una mappa… e quale, se non la Toscana? La fortuna ci sta pedinando.
Prima tappa veloce San Casciano: deludente, però ci regala una rilassante mezz’oretta con panini e un discreto panorama.
A San Gimignano sono subito orsi, che con ambulanze e carri funebri (…) ci accompagneranno per buona parte del viaggio (troviamo perfino l’Orso Mirko)!

E’ il primo giorno e sono già zeppa di ricordi. Le 70 torri per cui era famosa in antichità (oggi ne rimane in piedi una quindicina), nate da uno statuto comunale che impediva di realizzarne di più alte di quelle del Podestà: i cittadini più abbienti, perciò, ne facevano costruire numerose perché a immaginarle sovrapposte potevano sovrastare tutte le altre!
Le scalette che dovrebbero portarci ad una delle Torri Gemelle e invece ci fanno finire nella terrazza panoramica del Museo del Vino, circondata da un giardino verdissimo d’erba e lilla di glicini profumati e rosa di antiche mura che creano angoli in cui s’infiltrano attori dal forte accento mitigati da suonatrici d’arpa a raccontarci a memoria l’incontro di Dante con gli ignavi. Un vernaccia sorseggiato lì all’aperto a respirare panorami e imparare facce sconosciute e intrufolarsi tra il glicine con tutto il sole, con tutto il tempo, davanti. Poi la via Francigena, il cinghialino, i musei delle torture (e foto di Torquemada annessa, perché la Spagna c’insegua dappertutto).

Ricordo il profumo di glicine e le mani lasciate a ciondolare lungo i fianchi, per sfiorarsi ogni tanto tra i passi larghi. Ricordo il vento sopra il pozzo. Le bottegucce dal soffitto basso e piene, colme fino a sembrarti sul punto di scoppiare e inzupparti tutta di oggetti di legno, ceramica dipinta, ferro battuto. Ricordo il portico sotto al quale trascorrono indolenti pomeriggi i vecchietti del luogo, con due chiacchiere di salvataggio e un’ombra contro la solitudine, e ricordo il centro storico che si apre all’improvviso lasciandoci immobili.

Forse il viaggio è proprio questo: ricordare qualcosa che già si trovava nella nostra intima essenza. Forse non ricorderò mai colline o cattedrali se non saranno già dipinte dentro di me, con i miei colori.

Per non smentirmi lascio al Tomtom l’incombenza delle mappe e mi dedico alla lettura a voce alta dei miei appunti storico-artistici sui luoghi che man mano incontriamo, e infine verso sera siamo pronti a raggiungere l’albergo fra le colline senesi dove il bisogno di affondare l’una nell’altro non ci lascia quasi il tempo di guardarci intorno, di mettere giù le valigie. E come fai a descrivere l’indescrivibile, vorresti spiegare come ultimamente siate riusciti a trasformare qualcosa di bellissimo in qualcosa di assoluto, che ti toglie il fiato e le parole ma finiresti per vantarti del tuo uomo come a una fiera del bestiame; invece è un misto di intimità che cresce, desiderio, corpi e caratteri diversi che s’incrociano e a volte feriscono, ma se riesci a superarlo s’intrecciano come nient’altro, di intuizioni e curiosità e gioco e sentimenti che si radicano e curve che diventano familiari e una ricerca continua di un mondo tutto nostro in cui rifugiarci in quel poco tempo che abbiamo da ritagliarci.

La sera scoviamo un posticino più carino dentro che fuori, ove fa da accompagnamento ai pici (cacio e pepe per lui, alle briciole per me) un Morellino di Scansano scelto per affetto verso quel Micino di Scansano che l’Antonella Landi mi fa venir voglia di strapazzare ogni volta che ne leggo. Non posso farne a meno: nella mia valigia mi porto sempre dietro anche queste cose, certi pensieri aggrovigliati al mio modo di essere.

Ed un giorno, un giorno è andato direbbe Guccini.


La fotografia: Un signore di una certa età sta potando la sua siepe. Lo fa con precisione pigra e una lentezza poco interessata ai turisti che lo sovrastano per una foto che, alla fine, comprenderà anche lui e le sue cesoie. Lo fa in un modo fuori dal tempo, come se se ne fosse liberato, ed anche quella siepe è fuori dallo spazio, circondata da altre piante in un angolo bizzarro e perfettamente inutile.
Che siano le piante a liberare questi posti? Le siepi, gli ulivi… sono diversi dagli abeti: non puntano al cielo, non tranciano l’aria con i rami, si stiracchiano concilianti al sole e cingono e spalancano un prato allo stesso tempo. Quell’uomo si muove come chi è consapevole della sua concordia, e a me, mentre lo contemplo, sembra di aver appena carpito un segreto con un’unghiata veloce di falco.


(16.04.2010)

E’ venerdì e domani partiamo per Siviglia. Questa volta non sarò quella che rimane a terra, a guardarlo volare via ed aspettare, ma sarò lì di fianco a lui, guadagnandomi con gli occhioni il posto-finestrino in aereo, e poi in macchina per dieci giorni verso Jerez, verso Tarifa, verso Gibraltar, Cadiz, Cordoba, Granada, Madrid.

La nostra Andalusia on the road comincia domani ed è così strano ora stare seduta a un banco del Policlinico di Padova dove il Tomtom tiene una lezione per un seminario di MSF. Una cinquantina di studenti troppo educati mi dà del lei e fa strano sentirmi dare del lei da degli studenti universitari, dal momento che lo sono anch’io; è una specie di bizzarro equivoco che mi viene voglia di spiegargli a parole e gesti: invece rimango zitta. Oggi non è la mia giornata, è la sua e ne vado piuttosto baldanzosamente fiera.

Sto lì a mordicchiare il cappuccio della penna come un'uditrice qualunque fra gli altri, mentre racconta situazioni e regole, spiega come si gestisce la sicurezza e descrive episodi mai sentiti, mentre confonde l’italiano con tutte le altre lingue che parla per la maggior parte del tempo, mentre discute con lo studente-sindacalista che pensa che scegliere di ammazzare un terrorista anziché curarlo significherebbe la scomparsa dei cattivi e la conclusione delle guerre, e mi meraviglio dell’equilibrio con cui riesce a fargli notare in modo lieve l’idiozia della sua proposta. Mi meraviglio sì, come mi meraviglio ogni giorno della sua bocca quando si corruccia, del profumo buono dei suoi vestiti, di quel modo rilassato di mangiare insieme e le rughette che gli strizzano gli occhi perché ride. Mi meraviglio come chi assiste ad un piccolo miracolo, che invece di sbiadire cresce andando avanti.

Mi meraviglio, infine, per tutto il tempo, per come riesca a far combaciare me con il resto della sua esistenza; i “suoi” viaggi con i “nostri” viaggi, la sua vita in Sudan, Etiopia, Congo con la nostra in Andalusia che comincerà domani. Sembra anche questo una specie di scherzo bizzarro che verrà smascherato per forza, una commedia dell’arte, un paradosso non realizzabile, invece lui è lì a realizzare anche questo per me.

A parte il fatto che, insomma, il giorno dopo un vulcano si risveglia dopo duecento anni e vengono cancellati tutti i voli per quattro giorni, naturalmente.

lunedì 12 aprile 2010

Mushtaraq

Non mi stupisco di quanto accaduto in Afghanistan. Il che non significa che non ne comprenda la gravità, profonda nelle possibili conseguenze sia sul piano umanitario (per quanto riguarda tutti i progetti di Emergency e, globalmente, i progetti delle altre Organizzazioni Non Governative) che su quello della credibilità dello stato italiano (già di per sé pencolante). Ma quando affermo che non mi stupisco di quanto accaduto, mi riferisco alla facile individuazione del pensiero governativo afgano a proposito delle ONG indipendenti, e a dove è in grado di spingersi per potersene liberare.
Non mi stupisco, inoltre (altresì mi vergogno, m'incazzo e mi indigno), delle dichiarazioni del signor Frattini nel momento in cui si precipita, ancora in pantofole, a prendere le distanze dai nostri per il suo legittimo sospetto: in fondo, da un signor ministro degli esteri che già in occasione del rapimento di Sergio Cicala aveva osservato come "fosse stato lui a volersi spingere laggiù" e fossero perciò fatti suoi, perché dovrei aspettarmi ora un supporto a tre italiani (probabilmente comunisti, con quelle magliette e quel Gino Strada) che si sporcano le mani in un lavoro che il governo evita accuratamente?

Mi sono sempre chiesta se questa forte "riconoscibilità" di Emergency nella bella faccia e nelle dichiarazioni del suo padre fondatore fosse, in termini di immagine, più un vantaggio o uno svantaggio; così come mi chiedevo se prima o poi non avrebbe pagato il coinvolgimento "politico" nell'affare Mastrogiacomo (gli eventi degli ultimi giorni, a questo proposito, somigliano in modo abbastanza convincente ad una risposta).

D'altra parte, ci sono molte cose che si possono dire adesso.
Che se Emergency opera in una roccaforte di ribelli pashtun, il loro smantellamento da parte del governo locale deve necessariamente passare per lo smantellamento di Emergency, che in qualche modo, prestando assistenza sanitaria, li rafforza. Che delegittimare Emergency significa soprattutto togliere credibilità alle sue testimonianza scarsamente diplomatiche sulla realtà delle cose. Che è divertente osservare come un drappello di militari riesca ad entrare in un magazzino stipato di merce ed individuare immediatamente, fra gli altri, gli scatoloni incriminati. Che ONG come Medici Senza Frontiere ed Emergency hanno recentemente respinto la proposta della NATO per cui avrebbero dovuto costituire la componente "soft power" delle strategie militari.

Che Mushtaraq, infine, significa "insieme" in lingua pashtun
ed è il nome di un'operazione NATO in Afghanistan: quella in cui sono morti tutti insieme, incidentelmente, decine di bambini; quella in cui i militari, insieme, fanno irruzione nelle case con le armi spianate; quella in cui migliaia di civili, spesso feriti, rimangono intrappolati tutti insieme nelle loro abitazioni a causa della mancata concessione di un corridoio umanitario attraverso il quale ricevere assistenza. Quella su cui i riflettori occidentali si sono convenientemente spenti tutti insieme.

Marco Garatti, uno degli operatori umanitari arrestati, in una recente intervista aveva ricordato che "L'intervento militare italiano in Afghanistan consta di circa 500 milioni di euro annuali, equiparabili a circa 65 progetti di Emergency negli stessi territori.
65 volte 3 ospedali, 65 volte 30 cliniche e 65 volte 100.000 pazienti curati ogni anno."
Io, che oggi avrei voluto parlare solo di quanto già mi manchi Edmondo Berselli ma che a volte non riesco a non sproloquiare sulle avarie del mondo, mi limito a ricordare a tante brave persone che, senza voler scomodare terroristi talebani o governi lontani (ma fa sempre comodo dire che il babau è l'uomo nero), MSF è stata cacciata da Lampedusa (ebbene sì, non le foreste del Congo e non le montagne del Pakistan: le emergenze le troviamo anche in casa nostra) senza tanti complimenti per averne semplicemente raccontato la situazione disumana con una sincerità risultata sgradita al nostro occidentalissimo governo italiano.

Io sto con Emergency: l'Appello

giovedì 1 aprile 2010

Il partito dell'Amore


Ve lo dico io, gentucola, coglioni della vita, bastonati, derubati, sudati da sempre, vi avverto, quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia...
E' il segnale... E' infallibile. E' con l'amore che comincia.


Louis-Ferdinand Céline - Il canto imparziale

Bella fanciulla


Mattinata coercizzata dal sonno, causa cenone per il Trentesimo della sorella del Tomtom. Inoltre anche oggi guidare mi è difficile, arranco sul mio menisco affaticato e finisco per optare per un comodo treno, così non dovrò distrarmi come ieri mattina guardando penzolare quell'arbre magique al pino di fronte a me che i miei uni posca colorati hanno trasformato in un albero di Natale perenne.
Raggiungo perciò la biglietteria per prendere il mio Galaxy.


B: Buongiorno.
N: Buongiorno, mi dà un biglietto da 20km per favore?
B:
Oh, buongiorno!! Ma 20?
N:
..Sì, per Csp.
B: Cioè per Csp?
N:
Ehm... già...
B:
E come mai non ci va a piedi?
N:
...
B:
Con questo sole! Una bella passeggiata!
N:
Una volta vorrei andarci in bici in effetti.
B:
Sei qui di Cit?
N: Sì.
B:
Perfetto! E poi fa bene alla salute!
N:
Esatto..
B:
Allora buona giornata, eh!
N:
Grazie, anche a lei!
B:
Bella fanciulla.

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