amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

giovedì 24 giugno 2010


(Per la serie quando la realtà va oltre la satira)
Mi chiama un mio amico e mi fa, tutta colpa di voi interisti che avete troppi stranieri.
Mentre rispondo alla battutona apro La Repubblica.it dove un titoletto racconta come Calderoli abbia appena proclamato, ma stavolta sul serio, a Radio Padania che è tutta colpa degli stranieri in Serie A.


domenica 20 giugno 2010

Essere cresciuta in mezzo più a maschi che femmine ti fa accettare, generalmente, goliardia e lazzi di ogni sorta.
L'unica battuta che a priori non permetto di farmi è sulla sindrome preciclo, per la quale l'incauto peluto che si azzardasse, riceverebbe graffi a non finire, senza contare che per tutta la vita gli soffierò contro come un gatto arrabbiato e contatterò inoltre uno sciamano perché gli trasferisca addosso dolori atroci, febbri e crudeli squilibri ormonali che mi hanno squassata per svariati anni della mia giovane vita.
La situazione si aggrava nel momento in cui, in preda agli squilibri di cui sopra (e in aggiunta al mio noto aggrovigliamento mentale che per un po' mi aveva lasciata tranquilla aspettando, sospetto, il momento giusto per farsi sotto proprio quando sapeva che non ero più all'erta, sdraiata sugli allori come sul futon di una terrazza sul mare tra agavi e bambù in cui sorseggiare freschi cocktail tropicali mentre il tramonto ti fa compagnia di fronte alla risacca). Dicevo, quando stai con un uomo cancro, e la Salvietta potrà ben capirmi, non ti puoi proprio permettere di abbassare la guardia.
Così finisce che per un suo breve sentimentalismo sugli anni universitari tu, nel giro di 3 minuti, hai già fatto il giro dell'Africa due volte, partendo da "di me non parlerebbe mai con quel tono", prenotando una tappa su "si è definito felice, chissà se con me si definirebbe felice" e passeggiando per la volta in cui mi ha confidato di idealizzare il passato come qualcosa che supera il presente prima di approdare su "in quel periodo felice, come lui lo descrive, non conviveva con la sua ex, quella che per sua definizione tutti si voltavano a guardare per la strada?"
Beh insomma, non potendo contattarlo visto che lui è sempre nei suoi irreperibili angoli di mondo in stile jumanji che non favoriscono a mille la comunicazione di coppia per alcuni mesi l'anno, dovevo pur fare qualcosa per uscirne, così mi sono messa la maglietta della c.i.a. ed immedesimandomi nel ruolo ho cercato di fare qualcosa di utile per la comunità, tipo stabilire le sigle migliori degli ultimi decenni in tema di cartoni animati.
Non ce l'ho fatta a compilare una top ten. Con enorme sofferenza, come se avessi ucciso i miei figli, ho mantenuto una grande onestà intellettuale (dimostrata dalla difficilissima esclusione di Alla scoperta di Babbo Natale), e partendo da una base di 152 sono arrivata a ciò di cui sotto, in ordine rigorosamente alfabetico.

Capitan Harlock
Daitarn III
Daltanious
Devilman
E' quasi magia Johnny
E' un po' magia per Terry e Maggie
Ghostbusters
Gundam
Hello!Spank
Jeeg robot d'acciaio
Jem
Jenny la tennista
Ken il guerriero (x2)
L'incantevole Creamy
L'uomo tigre
Lupin III (x2)
Mazinga Z
Mila e Shiro due cuori della pallavolo
Occhi di gatto
Piccoli problemi di cuore
Prendi il mondo e vai
Rocky Joe
Sailor Moon (x5)
Una spada per Lady Oscar
Vola mio mini pony

...con una menzione speciale per:


Alla corte di Re Artù
Bia
Fantaman
Galaxy Express 999
Georgie
Goldrake
Hilary
Hooly e Benji due fuoriclasse
I Cavalieri dello Zodiaco
Il Grande Mazinga
Kiss me Licia
Lamù (x2)
Madamoiselle Anne
Magica Emi
Prince Valiant
Ransie la strega

Ufo Robot


venerdì 18 giugno 2010

Da oggi sono incinta


A dire il vero era uno di quei giorni in cui mi sentivo così svogliata che avrei voluto, lì davanti ai miei piedi, uno di quegli scivoli che partono dall'ottavo piano piombando direttamente di fianco alla mia macchina, anzi, perché no, proprio dentro attraverso il finestrino abbassato, anziché dover fare scale e corridoi e poi ancora scale e infine un altro corridoio prima di uscire all'aperto schivando persone e attraversando la provinciale fino al parcheggio soffocato d'asfalto che evapora fumi densi come figure geometriche.
Però avevo uno di questi vestitini tagliati sotto il seno e più ampio sotto, con i leggings e le ballerine leggere (un po' per il nuovo taglio di capelli charleston, un po' perché l'altra sera io e la figura materna abbiamo sospirato frementi davanti a Sabrina e più che altro a Humphrey Bogart in grande spolvero).

La prima è stata una ragazza col pancione che mi sorrideva in maniera aperta e complice senza un perché; poi è arrivato l'uomo deciso ad aiutarmi.
Io, insomma, già credevo di essere partita con l'arteriosclerosi (non per niente avevo passato mezz'ora a meditare su quel delizioso asinello che pascolava insieme alle galline festanti, e su come rapirli per dare finalmente sfogo alla mia Armata dei Musicanti di Brema, desistendo dai miei loschi propositi solo dopo aver ricordato che ancora non saprei dove metterli e chissà, forse quando avrò il posto potrò anche salvare quelle deliziose caprette che convivevano senza problemi con il bianconiglio; un coniglio, a dire il vero, non rientrava nei miei piani per l'Armata, ma come dice la mia vicina sui suoi meravigliosi roseti quotidianamente saccheggiati dai passanti: un mazzo di fiori non si nega a nessuno) quando ho capito.

Insomma, mi credevano incinta. Mi sono venute in mente le volte in cui, dai diciassette anni in poi, fingevo quel meraviglioso pancione che mi portavo a spasso dopo averlo studiato nei minimi dettagli perchè sembrasse vero e ok, forse l'exex aveva pure ragione a dire che gli sembravo quella pazza di Dharma.
Però anche se in realtà ho un pancino piatto come il marmo e vedere altro dipendeva più dal desiderio altrui di sorridere e avere contatti umani e di fermarsi a caso in un punto disperso oltre la burocrazia quotidiana per saccheggiare momenti come quando, da piccola, quel fantastico orso di pelouche gigante ti chiamava dalla vetrina e tu ti fermavi ad aspettarlo sotto le luci incredibili di Natale, proprio per questo, perché rinunciarci?

martedì 15 giugno 2010

Illusione ottica

Comunque, per la cronaca, con la scusa di una full immersion nella lingua americana sto facendo questa cosa malata per cui riguardo le prime puntate di Dharma & Greg (l'exex mi diceva che ero uguale a lei, debbo prenderla come un'offesa o un complimento?) e le prime di Criminal Minds.
Chi li conosce entrambi sa a cosa mi riferisco.




(...Chi non li conosce può scoprirlo qui e qui)

Casa

Il 17 giugno 2006, di ritorno da una solitaria camminata in mezzo a quella garrula deflagrazione di verde che, nella campagna circostante, non teneva evidentemente conto dei miei discapiti interiori, ho fatto un sogno.
Il tempo era tornato indietro di 1 settimana ed 1 mese, cosicché Marta e Giulia erano ancora con noi e lo si scopriva tramite un formidabile passaparola (anche se, devo dire, io in qualche modo lo sapevo già). Quello che risultava subito chiaro era che il tempo, le vicende, non si potevano modificare: sarebbe successo di nuovo.
Noi però, anziché scoraggiarci e disperarci, abbiamo tutti ringraziato il cielo (una sensazione che non si dimentica) per quel regalo, per potercele godere, coccolare, salutare di nuovo, per una settimana. A loro non abbiamo raccontato nulla, chiaramente.
E' un sogno che tengo ancora stretto.
Io, questo, lo chiamo famiglia: non può essere solo questione di sangue. Marta e Giulia fanno molto più parte di me di un certificato di nascita.
E' bello, perciò, vedere che anche il tuo "ufficiale", di nido, è tale anche per dettagli, somiglianze, ricordi spassosi: quel dito storto preso in toto dalla figura paterna. La volta in cui, per fare una sorpresa alla figura materna, hai raccolto tutti i fiori bianchi dalle piante di fragole, gonfiandotene generosamente il vestito.
E' bello capire così tanto che vieni da lì, proprio da loro, quando figura paterna e materna partono tutti pimpanti su tacchi pantaloni collane e antizanzare per quello spettacolo di cui tu e Fratello gli avete regalato i biglietti, e a metà strada stai per regalarti una doccia fresca e profumata che ti stacchi di dosso la stanchezza del giorno, e te li immagini già a discutere su dove parcheggiare, che se c'è una cosa che la figura paterna non ha in comune con te è la tendenza a prendersi all'ultimo momento, quando una chiamata dai toni anarco-prefico-disperati ti strappa ai tuoi pensieri brutalmente, supplicandoti di andare loro incontro perché hanno dimenticato a casa i biglietti.

Non è sempre stato così. Ci sono luoghi che, in passato, ho chiamato casa molto più di queste quattro mura al n.15. Perché lì si trasferiva la mia quotidiana esistenza, con amore, dubbi e doveri, gioie e persone con cui dormire in gruppo stretti stretti in un letto da 2.
Ricordo le testate nel letto di C, e quello inquietante del suo coinquilino che sapeva di dopobarba e aveva il duce sopra la testa. Ricordo M con i suoi libri sparsi sul pavimento, le filosofie con K nel bagno freddo, le lampade i poster e i cappelli. Ricordo F che russava e litigate alle 5 del mattino e ricordo, soprattutto, tempo su tempo trascorso in quella facoltà.
Entrarci, ora, ripercorrere quelle strade, è una violenza che mi fa trascinare ogni passo perché quelle zone, quei corridoi e botteghe dalle porte strette, non sono più casa mia. Ma non sono neanche ex.
Chiedere informazioni come una matricola, io che ne conoscevo i segreti a memoria. Conoscevo i pertugi, i punti all'ombra e l'intonaco dove si scrostava. Ne conoscevo i pavimenti ed il respiro traballante. Lì avevo studiato, avevo pianto fingendo di ridere, mi ero innamorata ripetutamente. Ora torno, e mi è scaduta una tessera. Il negozio che era diventato Blockbuster è diventato ancora dell'altro. La libreria che pubblicava i libri di S ha il cartello Affittasi e la serranda abbassata.
Il Salottino, quel rettangolo vivido nel giardino interno in cui ho mangiato, baciato, studiato, sbriciolato storie, schiamazzato e brindato insieme a quel clan di dolcissimi squinternati, ora ha un recinto. Anni di ritrovi, di vita concentrata in quell'unico punto del globo, rinchiusi fra due paletti ed un fil di ferro.
Non bisognerebbe poter togliere così gli indirizzi alle famiglie.

sabato 12 giugno 2010

Certe giornate



lunedì 7 giugno 2010

Postilla

Ultimamente non vale poi così tanto la pena di prendere il treno: non solleticano il mio voyerismo folkloristico questi noiosi giovincelli fatti in serie (ebbene sì, sto sperimentando la crisi di mezza età della 27enne-ancora-per-pochi-mesi. Oggi, in macchina, mentre tornavo a casa ho anche saltato casa mia. Così. Dimenticata la sua esistenza in un principio aggressivo di arteriosclerosi che ha smesso di accompagnarmi solo dopo che l'avevo superata di un chilometro).
Poi però l'ho preso e c'era questo giovanotto che frugava nel portafogli con aria affranta, per poi gemere dopo mezz'ora che "non riusciva a trovare gli orari del suo estetista!"
Gli stralci di conversazione seguenti si sono assestati sul "da chi vai di solito" e "grande professionalità" prima che io potessi tuffarmi nell'oblio della cuffie dell'i-pod per sfuggire agli effetti collaterali di origliare siffatti argomenti. Ne sono riemersa solo per godermi un simpatico dialogo sull'arcinota provincia di Cassola.

(la postilla, in realtà, voleva dire che nella parte di racconto dedicata alle cuffie dell'i-pod, riflettevo che la casa dei miei -recenti- sogni ha anche, a sua disposizione, una formidabile Armata dei seguenti musicisti di Brema:
- 1 gatto - 1 cane - 2 oche (vuoi mettere quanto più simpatiche sono in coppia, quando camminano ondeggiando) - 1 tartaruga - 1 asino - 1 capretta

Rimango aperta ai suggerimenti)


Con gli antichi fidanzati della gioventù di primo pelo facevo tutte queste cose importanti tipo vestirmi punk-rock (povera cara), vestirmi da signorina per bene (in base al fidanzato e all'estro del momento) o non vestirmi affatto. Si andava a mostre oppure a bere Chianti, oppure a bivaccare ai concerti del primo maggio. A volte si litigava fingendo di studiare, e qualcuno distruggeva la macchina nuova.
Il massimo del senso pratico e della proiezione nel futuro, in quegli anni, era: ci sposeremo in riva al mare a piedi nudi nel tramonto.
Non è che io sia esattamente diventata questa personcina ragionevole e pragmatica, cado ancora sia dai tacchi che dalle scarpe basse, non so cucinare e amo molto sdraiarmi fra l'erba un attimo prima di ricordare che stamattina ho messo quel delizioso abito bianco.

Però il Tomtom è riuscito a traghettare il mio inguaribile "l'importante è che tu non mi sia di àncora" verso un'insospettabile weltanschauung; dopo 2 anni e mezzo di Tomtom non trovo più insopportabile, anzi quasi solleticante, l'idea (in un futuro non enormemente remoto) di una casa.

Una casa vera, con i mattoni fermi ed il numero sopra, tutta mia - tutta nostra; che sia da creare e da riempire di librerie tarlate e caminetti, e un grande tavolo di legno per le cene con gli amici. Che sia da curare piantando alberi da frutto finché non mi somiglia.

Oddio, son cresciuta?
Che spavento.

giovedì 3 giugno 2010

Cose da donne



« Quand’ero più giovane io, Orgoglio e Pregiudizio, lo rileggevo spesso; era il mio libro preferito.

Laura finiva per canzonarmi ogni volta che me lo vedeva in mano, e mi beccava invariabilmente perché abbiamo sempre fatto tutto assieme: superiori, scuola per infermieri, lavoro in pediatria. Allora un bel giorno l’ho comprato in lingua originale per usare il pretesto di migliorare la lingua; non so se mi abbia mai creduto.

Il fatto è che, quando uno legge per la decima volta Orgoglio e Pregiudizio, c’è di mezzo per forza Mr. Darcy. Non trovi cantante o coetaneo abbronzato che tenga: non c’è confronto con quel meraviglioso principe azzurro.

Simone l’ho conosciuto di notte, e con quegli occhi penetranti, Mr. Darcy poteva esserlo davvero; poteva essere uno spirito antico per quel modo cortese di guidarmi tra i vicoli ed il profumo di aranci. La gente sedeva ai tavolini all’aperto, negli angoli delle strade, sui marciapiedi, e lui mi aiutava a schivarli tutti.

La porta del locale, mi ricordo, era verniciata di rosso.

La sera dopo abbiamo fatto l’amore alla finestra: era il terzo piano ma chissà se qualcuno ci ha visti. Bisognerebbe conservare quel coraggio di fare l’amore all’aperto, anche al freddo o dentro una macchina più sgangherata della vespa del nonno. Bisognerebbe portarselo dietro per ricordare il significato delle cose anche dopo essersi trasferiti in una casa vera, con la veranda. È bella la mia casa: ci ha pensato Simone a costruirla, lui se ne intende. Ha lavorato molto per potersela permettere.

A volte mi è capitato di sentirmici un po’ come in un vestito troppo stretto, anche se è così grande. Però dopo un giorno o due mi passa. Mi stiracchio, guardo il gatto e le foto del matrimonio (sembra l’altro ieri ma son già andati due anni) e mi passa.

Mi piace uscire sul terrazzo, guardare il sole che scopre i gerani se ho avuto il turno di notte. Mi piace passare a prendere il gelato mentre aspetto che Laura arrivi: viene sempre a trovarmi, quando abbiamo il turno di notte. Simone è al lavoro e ci godiamo questi pomeriggi di chiacchiere a gambe nude sull’erba. Sono momenti fatti di niente, di pelle nuda e gelato alla fragola, eppure per ognuno servirebbe una foto almeno quanto per il mio matrimonio.

Quando glielo dico, Laura mi canzona. Lo faceva anche quando ho incontrato Simone, perché era tutto abbronzato ed aveva queste idee un po’ decise; poi quando ho deciso di sposarlo, due anni fa, mi è sembrata triste. Mi ripeteva “Ti auguro solo la felicità, ma stai attenta” ed io non capivo che problema avesse: certo, eravamo un po’ distanti dalle profondità d’animo di Mr. Darcy, però mi amava molto. È sempre stato un gran lavoratore, Simone, uno di quelli di cui ti puoi fidare.

Fortuna che hai un fratello intelligente,” sospirava lei ed io, lo ammetto, ho creduto che fosse gelosa.

Ma io, che sono sua moglie, lo capisco. Per esempio, Orgoglio e Pregiudizio non è solo Mr. Darcy: c’è tutto questo aspetto sulla necessità di avere figli maschi, nella società dell’epoca, per poter trasmettere in eredità case e territori che altrimenti andavano perduti. O, nel migliore dei casi, a qualche lontano e imbolsito parente.

Per tutto il romanzo Elizabeth e le sue sorelle devono lottare fra la possibilità di sposarsi per amore e la necessità di garantire un futuro alla famiglia.

Anche per noi era così, un tempo: le donne non avevano il permesso di lavorare e la fabbrica, i campi, a chi avresti potuto lasciarli? Quando glielo ricordo, Laura scoppia a ridere. Mi dice: “Guarda che il primo figlio maschio serve solo ai regnanti, e nemmeno a tutti!

Però è stata carina con me. Quando sono finalmente rimasta incinta è venuta a trovarmi con un’albicocca, me l’ha passata sul viso. Sarà così la sua pelle?, mi chiedevo. Lei lanciava in aria la tutina azzurra che aveva comprato Simone. Mi ha portata per la strada a ballare il valzer, mentre saltellava le si è rotto un tacco e si è messa a ridere, aveva le guance arrossate in modo quasi violento, come un palloncino che stesse per spiccare il volo.

Ho sempre temuto che lo facesse. Partiva con questi discorsi astrusi sul suo fidanzato che lavorava in qualche ospedale dell’Africa, e si arrabbiava tantissimo per la condizione precaria delle donne. Io non le rispondevo mai, perché avevo paura che un bel giorno decidesse di raggiungerlo. Trovo che stare zitta risolva molte cose.

Anche quando Simone ha dichiarato di non volermi accompagnare alla prima ecografia perché “sono cose da donne” sono rimasta zitta. Ci è venuta Laura a stringermi la mano, e sembrava più preoccupata di me, anche quando ci hanno detto che la bambina stava bene. La mia bambina grande quanto un’albicocca.

In fondo te lo sei scelto” ha sospirato alla fine, ed io sono stata zitta ma mi dava fastidio che lo criticasse. Ho provato tante volte a spiegarle che lui fa un lavoro faticoso, che quando torna non è giusto fargli pesare le sue debolezze e che non è colpa sua se è stanco e non abbiamo più quei giorni d’estate in cui si ascoltava musica sotto l’acacia e si beveva vino bianco preso da una bacinella colma di ghiaccio.

Non ci eravamo mai voluti bene come allora,” rispondeva lei con la malinconia nella voce. È la vita che scorre e che rotola, pensavo, ma mi sembrava quasi che mi rimproverasse, perciò stavo zitta.

Anche con Simone sono stata zitta quando sono tornata a casa e lui si è arrabbiato: si è arrabbiato così tanto, perché non era un maschio, che tacevo perché speravo di non litigare ma lui continuava ad arrabbiarsi; ha litigato anche con mio fratello quando è intervenuto per difendermi.

Ha sbattuto la porta mentre usciva, senza guardarmi, ed è una settimana che non torna. Io cerco di restare in casa più che posso perché ha dimenticato le chiavi e non vorrei che arrivando non trovasse nessuno, però questa mattina sono andata al mercato: ho comprato una cassetta di albicocche e nel frattempo, quando la notte mi sento un po’ sola, me le struscio sul volto per avere compagnia. »



(purtroppo, questa è vera)

martedì 1 giugno 2010

Sempre per la serie "Ho ancora l'età", ieri mi sono divertita assai a far andare in loop questo video del cellulare di un micino minuscolo e miagolante, fingendo di tenere in braccio un gattino vero da coccolare di nascosto: Ombretta ha tenuto gli occhi sbarrati per circa quindici minuti, incredula.
Poi è uscita, lentamente.
Ha vagato per ore senza sosta, segnando il perimetro del n.15 e cercando incessantemente la creatura.
Quando ha iniziato a fare anche questi miagolii sottili per dirci "anch'io sono un piccolo cucciolo" la resistenza delle figure materna e paterna è definitivamente crollata in una serie di strazianti "povera, povera micia!" con cui l'hanno difesa a spada tratta dalla mia assoluta malvagità, prima di rendersi conto di essere caduti nella trappola felina con un esplosivo "Oddio, siamo vecchi!"

[E comunque, facendo uso criminoso di un blog pubblico (?), vorrei nuovamente ricordare alla Salvietta com'è finita l'ultima volta in cui sono uscita con qualcuno con la volonterosa motivazione di "ti spiego perché non potrà esserci niente tra di noi".]

Stranamente?, ho sostituito la segretaria all’e.r. che per questa settimana è in ferie causa impellenti pulizie di primavera e vasetti di marmellata da riempire. Che poi uno fa caso al fatto che sia assente un giorno sì e l’altro pure, perciò almeno queste assenze se le potrebbe risparmiare, diciamo, e invece.

Invece mi dà l’occasione per vestirmi in camicetta di sangallo, ballerine all’uncinetto e gonnellina ampia blu, cose che nemmeno Olivia Newton-John prima di incontrare John Travolta. Sarà che la botta presa in testa un mese e mezzo fa pulsa più del solito, anche per via del sole preso domenica a babysitterare i 3 pargoli di Chiara (più altri eventuali) all’assemblea annuale di IfP: avevo finalmente l’occasione propizia per rapirne almeno un paio ma il mio buon cuore ha avuto la meglio ed ora me ne pento. Qui si perde l’attimo e poi non torna più, carpe diem che poi calamaretti vongole e telline da un giorno all’altro vengono messe fuorilegge in quanto specie a rischio, e già non ne trovi più nei supermercati, nemmeno al banco freezer: pensavo di prenderne un po’ per il Tomtom quando torna, non so neanche se abbia una passione sfrenata ma insomma almeno una cena d’addio, due calamaretti, una pasta con le vongole, e niente!

Già era stato difficile arrivarci, domenica, a questo benedetto Parco delle Energie Rinnovabili.

Non saprei dire, effettivamente, se sia stato più complicato trovarlo o abbandonarlo, se la risata più soffocante e colma di lacrime causa due bestie che hanno frequentato Padova quotidianamente per cinque anni e possiedono un navigatore (acceso) a testa e continuano a perdersi ugualmente, sia stata all’andata o al ritorno.

Se sia stata, cioè, nel momento in cui, dopo un’ora di giri a vuoto a 1cm dalla meta, il navigatore ci mandava a destra e le indicazioni stradali a sinistra ed io, senza fiato, provavo a farlo notare al Babu che impavido prendeva strade a caso lamentandosi con tutte le macchine che si mettevano sulla sua via come neanche il Griso. O nel momento in cui, per fare Padova-Cittadella, ha tentato di prendere l’autostrada per due volte di seguito. La prima volta ci è anche riuscito (chiedendo il conto alla fine come alla cassiera del supermercato, perché lui non è avvezzo); la seconda no, ma solo grazie al mio urlo disperato e ad un’inversione improvvisa di quelle che solo Neo in qualche Matrix.

Certo mi dispiacerebbe tralasciare la scena in cui, cercando parcheggio insieme a Blè al parco n.2 della giornata, lui non trova un punto che lo soddisfi perciò va avanti, avanti per questa stradina sterrata… avanti… avanti verso il sole… avanti… avanti tra le frasche sempre più fitte… avanti finché dopo alcuni chilometri Blè, dalla macchina dietro, mi prega di svegliarlo o ucciderlo.

Però insomma, dopo le fatiche del babysitteraggio, del servizio camerieri a pranzo in mezzo a quelle cavallette affamate, del testamento del Grande Capo che si era sentito in punto di morte, è stato bello ritrovarci noi tre, una coperta, una bottiglia di vino sgraffignata all’assemblea dopo che fra tante bottigliacce avevo adocchiato la scritta Maculan.

Inoltre, presa dal diabolico concetto “oddio siamo vecchi!” dopo che i nostri discorsi avevano iniziato a vertere su stanchezza, vacanze in centri benessere, acciacchi e malattie, ho accettato di buon grado, per riconquistare la mia perduta gioventù, di giocare a frisbee. Aggiungendo furbe variazioni sul tema tipo: “prendere il frisbee ballando al ritmo balcanico della festa qui di fianco” o “lanciare il frisbee continuando a correre in tondo per scambiarci le posizioni”.

Quando una è furba, lo è fino in fondo.

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