amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

lunedì 15 aprile 2013

Good bye vip

 "Che strano, non è cambiato niente."
"Perché, doveva cambiare qualcosa?"



Eppure vivere in un paese con la cinta muraria intatta non è la stessa cosa che non. Si sente nel modo di fare, che abiti in un'isola. Ed è un'isola di vip che, man mano che ti allontani dalle mura verso la periferia, si tingono di colori più azzimi e genuini, da forno a legna e porticati, giacché qui in Veneto si è vip non per meriti ma per territorio, e il senso di appartenenza viene dalla storia che altri hanno creato per noi e che abbiamo trovato pronta, confezionata da una boutique del centro. Siamo tutti valvassori e valvassini di un feudatario pronto a piacerci a priori, solo perché vorremmo anche noi stare lì.
Da quando ho memoria, io dalle mura provo a fuggire. In mezzo a tanto annaspare, ho sempre sperato con lucidità di non riscoprirmi all'improvviso un Drogo che cercava l'avventura all'interno della fortezza Bastiani; le smancerie e le meschinità da zia coi tacchi che sta sempre in prima fila ai funerali, mi hanno sempre, da sempre, tolto l'aria e la vita. Avere qualcosa da cui fuggire è indispensabile, ad alcuni più che ad altri. Scalciare mi ha aiutata a ragionare. Eppure non importa quanto sia insopprimibile il tuo bisogno di libertà: ognuno ha le sue mura che, prima o poi, vengono fuori.

Credo che le mie siano le parole; e suona strano, lo so, da chi le ama così tanto. E tuttavia uso i loro significati, se non i loro suoni, con grande parsimonia. Mi fido poco di chi si innamora in due settimane, di chi decide per sempre, di chi si diverte ogni week end in modo pazzesco e anche di chi soffre come un cane. Delle persone che hanno detto di essere innamorate di me, con metà mi sono arrabbiata per la leggerezza con cui inventavano sentimenti da film mentali. Se dopo due mesi è amore, dopo due anni cosa sarà? Non svilire i giorni che avremo, che verranno, che cercheremo. Lascia che ti scopra con il tempo, e che il nostro barattolo di buoni pensieri cresca di volume ogni giorno, ad ogni risata, insofferenza, ad ogni impigrirsi insieme per il freddo e la pioggia.

Ecco perché, nel ritrovarmi circondata da attribuzioni di migliori amiche, mi sono sentita come la madre in Good Bye Lenin che si risveglia di colpo in un mondo diverso da lei. E ce ne vuole, di coraggio, per vivere in un mondo così diverso da te, ma d'altra parte cosa puoi pretendere da un postaccio comico in cui su ebay vendono un abito da sposa "usato una sola volta"?
Continuerò a cercare le finestre illuminate all'ora di cena, a sorridere all'idea che il Carota, prima di diventare Carota, fosse un mio amico, e a leggere il giornale al bar come i vecchi che non vogliono comprarlo; che si fanno compagnia con il rumoraccio delle pagine che si accartocciano quando non riesci a voltarle, e quelle briciole e poi il segno del bicchiere proprio lì, dove anche tu stavi imprecando. E vabbé, forse c'è perfino di peggio di quei nostri amici intrappolati tra un telefilm e l'altro come se Sex and the City fosse un reale modo di vivere.
Finché al risveglio posso trovare delle storie, sono salva. Come quel quadro, scovato da un tizio a Princeton mentre passava davanti ad una piccola casa che lo teneva appeso al cancello, così, senza cornice. "Stiamo per avere ospiti a cena", gli aveva spiegato una donna dalla casa, "e mangeremo ostriche, perciò ho pensato di dipingere alcune ostriche."

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