amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

venerdì 10 dicembre 2010

Grovigli a specchio

Forse gustarsi le nuvole avvitate contro il sole la mattina presto, ed i campi che fumano ghiaccio fino a diventare invisibili, non ha niente a che vedere con l'aver lasciato perdere persone che non valevano la fatica. Eppure a me sembra parte di un continuum personale l'aver lasciato (tanti anni fa, ma ci metto più tempo a lasciar perdere) una persona che pensa che i luoghi comuni del ribelle siano una scelta consapevole nella musica e nella vita, che i libri si possano scrivere senza sapere che daccordo ha l'apostrofo, che i giudizi contro le persone si possano dare prendendo la rincorsa come nel 2001 a Genova, con un rancore soppresso ogni volta che l'amore non va secondo i piani.

Non so se abbia qualcosa a vedere con questo, ma penso di sì, il fatto che se comprassi dei quadri li appoggerei a terra, perché i bambini li vedano e li possano toccare con le mani. Ho scritto una storia, una volta, che parlava di un pittore che dopo aver finito un quadro lo lasciava all'aperto, perché il sole il vento o le intemperie lo rendessero vivo.
Poi, lo ammetto sottovoce, bado più alla mia anziana vicina di casa che ai bambini della Repubblica Democratica del Congo. Ho frequentato abbastanza l'ambiente, lavorativamente, volontariamente, ma anche biblicamente e sentimentalmente, per capire che spesso è più comodo guardare i bambini del Congo sentendosi liberi ed eroici che rompersi le palle con la quotidianità del sabato mattina.

Ho evitato, per un po', E. che è sempre stata uno specchio che mi mette di fronte alla realtà delle cose in maniera irrimediabile ed inclemente, ricordandomi che probabilmente non sarò mai serena, e va bene che preferisco la felicità e la verità, e forse la serenità è sopravvalutata, è cosa da vecchi, da semplici. O forse lo dico io, lo diciamo noi, per consolarci, perché in fondo so che se fossi serena prima o poi mi annoierei e cercherei di uscirne.
L'origine dei miei mali sono io. Appena mi sento finalmente dentro a qualcosa, appena spio un equilibrio, finisce che ne esco con gran dolore e fracasso, e devo ripartire da capo e con il culo per terra e allora forse non è nel mio destino essere dentro a qualcosa, forse devo stare sempre nel percorso tra un punto e l'altro, tra una cosa vecchia ed una nuova. Il Tomtom non capiva la mia resistenza nel seguirlo nei suoi viaggi ma è come quando preferisco i quaderni a quadretti o evito le droghe leggere: uno, se fa pensieri lunghi, se sa di sforare, deve autoimporsi dei limiti esterni, quantomeno, per la sopravvivenza.
Tenere il piede in due scarpe, lo chiama Raven quando ho sempre pronta questa via di fuga del vagheggiare quello che non ho, e lui che si era innamorato senza mai raggiungermi dice che a volte non sa se mi vorrebbe dare un bacio o due sberle.

Da quando sei morta sono invecchiata, il che non è male se calcoli che anche prima l'unica cosa che avevo di giovane era l'immaturità. Quella speranzosa e incosciente che si rialza ad ogni costo e vuole sempre la verità. Ma ti ho sognata di nuovo, ed eri così reale che rimettevi a posto le cose.

0 Comments:

Post a Comment