amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

martedì 20 novembre 2012

Impressioni di Novembre

"Quando Miùsov e Ivàn Fedorovic stavano per entrare dall'igùmeno, nell'animo di Petr Aleksàndrovic - un uomo veramente fine e cortese - avvenne un cambiamento repentino e assai delicato: si vergognò della propria collera. Sentì che in fondo non avrebbe dovuto dare tanta importanza a quel poveraccio di Fedor Pàvlovic, che non avrebbe dovuto perdere il sangue freddo e uscire anche lui fuori dai gangheri."
Dostoevskij - I fratelli Karamazov


Novembre è un mese adatto per ammalarsi, per dire di voler fare questo e quello e poi impigrirsi sul lettone, parlandoci, respirandoci, tentando di guardare un film e facendo l'amore sul più bello, e perdere a Ramino a gambe incrociate sopra il materasso. E poi uscire con gli amici per un aperitivo coi cicchetti, tutti molto saporiti e caldi nella pancia, mentre prendi in giro la S. che è rimasta alla festa fino alle 8 del mattino, quando il carro attrezzi stava per portarle via la macchina per fare posto al mercato.

Sono cresciuta in un mondo manicheo, dove i buoni erano leali ad ogni costo ed i cattivi portavano mantelli neri per farsi riconoscere. Quando ero piccola, un giorno, salii in piedi su una sedia e spalancai le ante sopra il lavello; con le mani afferrai una tazzina da caffè e cominciai a spremerci dentro le lacrimucce. La figura materna mi trovò così: con la guancia appoggiata alla tazzina mentre a tutti i costi cercavo di riempirla, per dimostrarle la mia sofferenza.
E poi? Poi sono cresciuta, anche se a volte metto ancora alla prova le persone per vedere se continueranno ad amarmi nonostante tutto. Ho trovato delle priorità (non tutte, non abbastanza). Ma cerco di capire quand'è il caso di mettere via la tazzina - quasi sempre, perché non è proprio il caso di aggiungere teatro alla fatica di svegliarsi al mattino sorridendo o, se possibile, almeno senza digrignare. 
Ad un certo punto, vattelapesca, mi sono innamorata delle debolezze. Mica ci riesco sempre, a non cedere a quel po' di autocommiserazione che ti coccola e ad aver voglia di abbracciare qualcuno quando fa il tragico o il meschino, e non è che adesso andremo in vacanza tutti insieme stretti stretti nell'abitacolo per un mondo migliore on the road. Però siamo vivi, tutti, e guardiamo le cose a volte dal basso, a volte dall'alto, a volte sedendocisi di fianco con un ghigno; ci sopportiamo gli uni con gli altri, coinvolgendoci o spingendoci via, spesso dimenticando che abbiamo i giorni contati, tutti, e che il modo migliore per sopravvivergli è guardarli per quello che sono, ché c'è posto per tutti e non dovremmo far passare il tempo lamentandoci perché il motivo per cui fai così, C., ne sono sicura, è che sei ancora una bambina.
Non per l'età, che 24 mica sono pochi per rendersi conto delle cose - forse lo sarai anche a 80 anni. Le donne, però, sai, magari sono stronze e magari anche aggressive, però non sono gratuite. Sarà una questione di utero, non lo so, ma hanno quel qualcosa di salvifico che ancora ti manca. E se mandi certi sms il sabato sera vuol dire che non hai ancora avuto occasione di imparare l'abc della sopravvivenza. Le cose che fai di notte non sono mai decisioni, C.: sono figure di merda del mattino dopo. E il dolore vero gratta, perché è talmente grande che ti denuda e provi pudore all'idea di mostrarlo agli altri. Oppure gridi ma il dolore vero, C., non va sulla bacheca di facebook insieme all'ultimo taglio di capelli. Non è uno scioglilingua di frasi tragiche e vittimismo verso qualcuno, solo per non permettergli di essere felice.

Fermati, C., strizza gli occhi. Guarda meglio. Guardare dentro mi è sempre riuscito abbastanza bene, e mica per superiorità etica - che in questi giorni mi è servito guardare e riguardare quella foto dei due spazzolini da denti per superare le cose che mi hai detto tra un pianterello e l'altro, per ferirmi - ma perché, non vedendoci di fuori, mi veniva spontaneo rivolgere lo sguardo altrove.

E quella volta, non è stato perché l'ho visto piangere che non me ne sono andata. E non è stato neanche (solo) perché io, per le cose, ci combatto da dentro e non da fuori. E nemmeno (ma anche) perché ha messo me davanti ad ogni altra cosa, perfino se stesso. Ed è il motivo per cui, quando mi chiedono perché stiamo insieme, penso che i veri ciechi siano loro che non sanno guardare.
E' per essere venuto da me tenendo il suo cuore nella mano, esposto, perché ne facessi quello che volevo. Il suo cuore, io l'ho potuto guardare come tu non sapresti fare.

E allora falle, le tue guerre da poveri se ti va, riesci anche a ferirci qualche volta, però noi lo sappiamo, di avere altre finestre da spalancare perché fuori c'è sole o c'è vento e le case chiuse sono case morte, e altri vini da bere e altri concerti da saltare visto che io, la musica, la preferisco ascoltare da sola; e anche con il cinema ho qualche problema, perché se una persona mi piace proprio ho voglia di parlarci e ridere e mettere in pausa per mangiare qualcosa e toccarla e tenere la luce accesa per guardarle la faccia. E poi fare i peccatori e riderci su tanto, tantissimo, e quando usciamo guidare piano, ché la buona compagnia ce l'abbiamo già dentro la macchina e non c'è fretta di arrivare da nessun'altra parte.

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