amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

lunedì 28 febbraio 2011

Una locomotiva a vapore scarlatta era ferma lungo un binario gremito di gente. Un cartello alla testa del treno diceva "Espresso per Hogwarts, ore 11". Harry si guardò indietro e, là dove prima c'era il tornello, vide un arco in ferro battuto, con su scritto "Binario Nove e Tre Quarti". Ce l'aveva fatta.
J.K.Rowling - Harry Potter e la Pietra Filosofale

I ricordi pesano molto più degli anni,
scriveva Marguerite Yourcenar, e d'improvviso vedo perché a 28 anni, a volte, mi sento così inaspettatamente vecchia. Sono zeppa di ricordi come un diario di viaggio, l'ho già detto, e allora forse dovrei smettere di interpretare questa vecchiaia come una zavorra e prenderla per quello che è: una specie di ricchezza.

Certo, ci sono giorni in cui i ricordi pesano, ma in fondo è meglio così, piuttosto di non averli. Ho litigato con il mio parroco, una volta, per un articolo in cui citavo Beckett quando diceva "Non è meglio abortire che essere sterili?" e lui non aveva voglia di cogliere il concetto di metafora. Ricordo anche Di che a diciott'anni mi scriveva "è stato meglio perderci che non esserci mai incontrati" quando ancora avevamo bisogno dei cantanti per esprimere quello che provavamo, e insomma, la risposta l'ho avuta qui, sotto il naso per tutto questo tempo.
Dicono che dopo una certa età ognuno sia responsabile della propria faccia; mi piace sapere dove arriveranno le mie rughe, sulla fronte tra le sopracciglia per aver pensato troppo, vicino agli occhi e agli angoli della bocca per aver sempre riso molto. E' la faccia che mi merito, e le voglio bene.
Come gli armadi. Ognuno ci cova i propri scheletri personali ed io, se li apro, ritrovo intatta la mia adolescenza: frasi che mi colpivano, facce, canzoni, tutte nella parete interna delle porte perché i muri no, che si scrosta l'intonaco. Aprire quelle porte è come scaraventarsi dentro il mio cervello di allora, con le sue convinzioni ed i suoi alfabeti indecifrabili.
Molte cose sono cambiate. Altre no: preferirei ancora lavorare all'e.r. di Padova, solo per potermi perdere più spesso lungo i corridoi, e allora sono contenta se la settimana scorsa insieme al cardiologo chiacchieravo senza badare a dove mi stesse portando mentre lui apriva porte, porticciole, fra scale, curve nei corridoi e passaggi segreti. E' stato bello, al ritorno, non trovare la strada.
Ognuno disponga come crede della sua faccia. Io, un giorno, riuscirò a lavorare ad Hogwarts.

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