amo le rughe, la rabbia, le ninnenanne, la carta, appiccicare cose alle pareti, avere le dita sporche d'inchiostro, il pane, l'acqua, camminare scalza, i lucernari, le vecchie corde della mia chitarra, le biblioteche, leggere tra le righe, i treni,le altalene, perdermi, i bastoni della pioggia, le bacchette magiche, i pistacchi, i pacchetti, i regali, il mojito, fare l'amore, la polvere innamorata negli occhi.

sabato 5 febbraio 2011

Riuscire a sentire

E' cominciato tutto 5 anni fa naturalmente. Avevo quasi 24 anni e ho dovuto scoprire da un giorno all'altro che non avevo più un braccio, non avevo più ingenuità o speranza da regalare e dovevo arrangiarmi senza. Se ci penso bene, è da quel giorno che ho smesso di fidarmi ciecamente: pensavo ci fosse una specie di tacita promessa sul fatto che la vita sarebbe stata nostra, e noi per sempre insieme; con alti e bassi, certo, sono così le amicizie e noi non avevamo fatto eccezione, invece ho dovuto ricevere le ultime parole di Marta da una lettera che non aveva avuto il tempo di darmi. Ema me l'aveva detto, da quel giorno in cui l'abbiamo persa in due e lui è venuto a cercarmi perché "avevi nello sguardo qualcosa di mio", che in fondo non riusciva a starmi dietro: ero diventata troppo complessa, troppo aggrovigliata, troppo preda del pensiero e del dubbio.
E' iniziato così, 5 anni fa con una promessa infranta e poi quando mi pareva di avercela quasi fatta se n'è infranta un'altra. Quello che non avevo affrontato la prima volta è tornato la seconda - un'estate trascorsa a sembrare a posto, a nascondere gli incubi ogni notte ed il panico, quella sensazione strisciante di cuore che accelera e scoppia, di stomaco che si restringe di colpo e il respiro che non riesce ad arrivare alla gola; il pensiero che basta, non ce la puoi fare, non riuscirai a superarlo anche questa volta, non ne hai le forze.
E' stata dura superare questi mesi senza il Tomtom, sempre così, da un giorno all'altro, con le persone che mi facevano pressioni perché scegliessi, o rispondessi, come se io avessi risposte da dare. Ma sono arrivata ad un punto in cui mi sono sentita più leggera, pronta a spiegargli che sì, gli volevo bene, ma non certo come prima; che sì, gli auguravo il meglio, e se il meglio non eravamo noi non era colpa di nessuno, che certo ero rimasta delusa da come aveva gestito le cose ma era stato la storia più importante della mia vita ed avrei sempre bevuto volentieri un bicchiere con lui, gli avrei sempre sorriso. Senza tornare indietro. E appena gli ho spiegato che non l'avrei fatto, che erano sparite l'angoscia e la rabbia ed ero andata avanti, è tornato indietro lui. Regali, inviti, messaggi. Una volta ho scritto un post, in un vecchio blog che avevo, sugli uomini che si svegliano solo quando vedono le valigie pronte.
E tuttavia ero molto fiera di me, per essere arrivata a quel punto, quello in cui non hai rancori, in cui voler bene ad una persona significa soltanto volerne il bene. Quello in cui capisci che in fondo gli uomini non sono poi così affidabili, e se ci piacciono perché li crediamo forti, in realtà ci legano con le loro debolezze. Quello in cui non te la prendi quando scopri che qualcuno che consideravi un amico ha fatto il doppio gioco, ti importa solo che non ferisca la tua amica. Quello in cui non sputtani le persone pur avendone l'occasione.
Però poi c'è stato quel funerale, due giorni fa, un bel funerale, se così si può dire, 2 ore e mezza di musica e parole e colori, e un ragazzo di 24 anni che amava dire "Partiamo, non ci serve niente: a me piace guidare, a te parlare". Quando, ad un certo punto, tutti stavano piangendo, ho scoperto che non ne sono più capace.
E' cominciato 5 anni fa e poi quest'anno, ero contenta di sentirmi meglio ma forse è solo che mi ha scavato dentro e non riesco più a sentire.

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