domenica 31 ottobre 2010
William Butler Yeats
Perciò, dicevo, si fa quel che si può. Per esempio smagliare una alla volta tutte le calze nuove, lasciare aperti a metà tanti libri, vedere una mostra che aspettavi, farti beccare all'e.r. da Vi mentre prepari importanti documenti ballando su Matilda di Harry Belafonte.
Non voglio più essere arrabbiata soltanto perché è più facile quando puoi dare la colpa a qualcuno. Ho comprato un crystal ball, delle scarpe su cui non riesco a camminare, ho ascoltato Smiths e Sigur Ros, ho ricevuto un invito per una cena a base di piatti rumeni.
Ho perso l'amore della mia vita e mi capita, quando nessuno vede, un pensiero così forte su qualcosa che non potrò più fare che mi taglia il respiro alla base dello stomaco e devo appoggiarmi alle pareti per non cadere. Quindi va bene lo stesso se le mie ricerche internet più recenti si attestano sulla poliedrica media della casalinga di Voghera, avendo come punte di diamante parole chiave come "fai da te", "catering e banqueting" o "come far durare le ortensie". Anche fare la web planner è un buon modo per non pensarci, per non smettere di respirare. E poi nel frattempo mi sono data alla stop motion, visto che la trasformazione in massaia precolombiana non è il massimo del risultato per chi non è mai stata posseduta dall'ambizione di imparare a cucinare, a stirare o a far partire una lavatrice.
E così si va avanti. Si ride lo stesso. Si scappa appena qualcuno sembra aspettarsi qualcosa da te.
lunedì 25 ottobre 2010
Succede quando la sera prima hai detto all'amore della tua vita che non puoi più aspettarlo, e la sera dopo in una comitiva di cui conosci una sola persona incroci un vecchio amico che non vedevi da sette anni, buono come sempre, pieno di ricordi, di canzoni, di fughe da fermo, con lo stesso cane che una volta è stato male a mezzanotte mentre eri a casa sua, e senza pensarci siete corsi a casa del veterinario.
venerdì 22 ottobre 2010
Quando le fottute dipendenze approfittano di un tuo momento di debolezza per surclassarti
0 commenti Pubblicato da sand alle 11:08Poi BAM!, un servizio stupido al tg mentre avevi la guardia abbassata ti fa ripiombare in una sera qualunque nella tua peggior dipendenza.
Non so quanti alberi ho abbattuto, negli anni, per classificare. Scrivevo liste di ogni cosa: nomi preferiti, personaggi preferiti nei libri, le canzoni migliori per andare al bagno. Credo fosse fondamentalmente lo stesso principio per cui preferisco scrivere su un quaderno a quadretti, e cioè per bilanciare il mio sconfinato caos mentale con qualcosa che possieda un ordine intrinseco. Le classifiche sono state le mie migliori amiche e la mia dannazione, ho cercato, davvero ho cercato di lasciarmele alle spalle.
Mi sono resa subito conto che non avevo la possibilità di uscire indenne da quel servizio al tg sulle famiglie più amate dei telefilm, e per correre ai ripari ho cercato un compromesso storico che mi permettesse di produrre la mia personale classifica, ma a determinate condizioni: non più di tre posizioni. Non credevo di farcela. Non sono mai riuscita ad andare sotto le dieci posizioni. Sono quasi orgogliosa.
L'unico neo è che, per riuscirci, di classifiche ne ho dovute fare cinque.
La famiglia più simpatica
1 Gilmore Girls
2 Dharma & Greg
3 I Robinson
Il gruppo di amici più simpatico
1 Friends
2 Felicity
3 Grey's Anatomy*
(menzione speciale a Will&Grace)
Il gruppo di lavoro più simpatico
1 Ally McBeal
2 Buffy
3 NCIS
Il personaggio più fastidioso
1 Dawson's Creek: Dawson
2 Settimo Cielo: tutti, indistintamente
3 Lost: Juliet
La miglior non-coppia
1 Lost: Jack/Kate, Sawyer/Kate
2 Buffy: Angel/Buffy, Spike/Buffy
3 [parimerito] NCIS: Tony/Ziva; Ally McBeal: Ally/Billy
(menzione speciale a Gilmore Girls: Rory/Jess)
* riferimento alla 1 serie, con i coinquilini Meredith/Izzie/George e le incursioni in casa di McDreamy e Cristina
...aaahh, mi sento meglio.
Etichette: classifiche, sventure, tv
giovedì 21 ottobre 2010
Ecco. Farsi i fari non ha bisogno di parole. Ha bisogno di gesti, quel cenno della mano per dire grazie che riconosci all'istante e ti mette quella specie di caldo nello stomaco.
Quindi non solo perché sono luci mi piacciono i fari che barbagliano, che poi è un gran bel verbo, barbagliare, sarà perché somiglia a quelle parole simpatiche come barbogio o barbagianni, sarà che ti riempie le guance se provi a pronunciarlo, ti fa il solletico in bocca e si aggrappa alla lingua per giocarci e per quell'attimo non importano più i momenti perfetti cui continui a pensare con un crampo, di lui che dorme, che cammina insieme a te nel tardo pomeriggio, che prepara la cena mentre tu ti rivesti e ti canzona perché stai cercando i tuoi abiti sparsi per tutta la casa.
Somiglia a quando ho saltato quell'ultima cena sabato scorso e sono rimasta a letto con la febbre, e poi la mattina dopo, risvegliatami lucida e splendente, mi sono messa a preparare la scaletta musicale per il matrimonio ed ho deciso che quelle per la festa le dovevo pur provare, e così ho ballato, ho ballato per due o tre ore di fila cantando a squarciagola. Grazie Elvis.
venerdì 15 ottobre 2010
La verità è che ho bisogno di un’altra settimana.
Non è per guadagnare tempo, posticipare il non posticipabile, evitare ciò che sto per scontrare. Ma ho bisogno di un’altra settimana per chiudere la cosa di cui sono stata più convinta in tutta la mia esistenza, perché è vero che ho bisogno di stare da sola, per elaborare il mio lutto e così via, ho imparato quattro anni fa come si elaborano i lutti più grandi di quello che la tua mente riesca a contemplare, però è vero anche che averlo già fatto non aiuta; quando resto da sola e smetto di fare l’allegra compagnona mi piombano addosso troppe delle cose che di punto in bianco non avrò più, non vedrò più, non vivrò più, e mi piglia quest’angoscia al rallentatore, in modo che non me ne perda nemmeno una fetta, e che non è malinconia, quella anche se arriva ci può stare, ma quest’angoscia spuntata dal nulla, lei no, mica posso crearmi questo ultimo bel ricordo in preda all’angoscia, credevo di averla presa meglio e invece l’ho presa peggio e forse questo è un passo d’addio agli arcobaleni e a pollyanna e, sinceramente, se deve succedere, vorrei che fosse già successo perché sono stufa di avere dei sentimenti, stufa stufa stufa. Pensavo di aver smesso di incasinare l’esistenza mia e degli altri, di chiudere parentesi, pensavo fosse la volta buona e invece devo ricominciare a farlo. È, come dire?, un mestiere, una missione improrogabile cucita sul mantello. E mi sono rotta, rotta senza avere più colla per mantenere uniti i tasselli. Non la generosità, ma l’indifferenza. Non la fiducia, ma il cinismo. Non l’abnegazione, ma la cautela dei minimi egoismi. Non sto dicendo basta solo ad una persona, ad una storia. Sto dicendo basta ad un ideale, e a me stessa.
Perciò ho bisogno di un’altra settimana.
giovedì 14 ottobre 2010
Dopo un po' finiscono gli scherzi, i telefilm stucchevoli dove tutto si risolve, le serate alcoliche, accorgerti che ormai cammini per i corridoi dell'e.r. senza nemmeno guardare, perché li conosci come un cieco riconosce gli odori.
Dopo un po' le battute, le distrazioni, smettono di bastarti se oltre a finire qualcosa finisce anche quello che eri, e capita una mattina di guidare e sentire alla radio una canzone da cantare a squarciagola e chissà perché ad un certo punto un nodo proprio lì ti uccide le parole mentre escono, il momento prima gridavi Look at me standing here on my own again up straight in the sunshine e il momento dopo No need to laugh and cry non ti viene più fuori, tu ci provi ma proprio non esce, non ne vuole più sapere, e piangi così forte che devi aprire tutti i finestrini e lasciar passare l'aria gelida per tornare presentabile prima di arrivare al lavoro.
Maledetto stronzo bastardo.
martedì 12 ottobre 2010

Anche se bevi qualcosa che non ti piace, ma l'importante è superare il quarto bicchiere che poi di solito comincia a sembrarti buono. Anche se alle 4 se ne vanno quasi tutti e restate in tre a ordinare da bere e ballare come esaltati e fare sandwich come adolescenti, e lì in pochi è quasi più bello di quando eravate in tanti, a parlare e straparlare e andare al bagno tutti insieme perché "sei una ragazza, mica vorrai che ti lasciamo da sola in un postaccio come questo?"
E' che con il Tomtom che diventa Motmot ci vuole la serata pop, un po' kusturica, in cui fare le bolle di sapone, scattare le foto sceme di ogni volta e abbracciare tantissimo, e vedere che fa buio e sentire il calore che entra e che esce dalla porta ad ogni sigaretta, e l'estate che ormai è finita eppure ci si ostina ancora a lasciare la pelle scoperta, e se a qualcuna sale troppo la gonna non importa da quanto tempo ci conosciamo, troverai sempre un clandestino impegnato a sbirciare o a far partire i flash.
E poi una conversazione in spagnolo, le bolle di sapone, e tu hai un vestito nuovo e cento cose da dire e mille altre a cui non pensare e musiche diverse, voci diverse, le stesse facce per nuovi scherzi. Mi ero quasi scordata dei loro respiri, dei loro ritardi, di quel modo di ridere insieme di notte, e qualcuno ritorna da un viaggio, qualcuno è partito e si tira avanti, tutti, e poi alle sette i fusilli alla pancetta stappando una bottiglia di rosso sembrano un'epifania sulle nostre esistenze, ché non andremo a dormire nemmeno questa volta ma almeno si mettono i Creedence alla radio e si torna a casa con il sole.
venerdì 8 ottobre 2010
Etichette: figure, piccole cose, sventure
Una nottata in cui cominci a contare i quarti d'ora che poi diventano ore intere e infine alba senza mai chiudere gli occhi, porta alla creazione di una compilation ben lunga. Bowie, Beck, Radiohead, Ben Folds, Deftones, Dave Matthews, Soundgarden... a Nick Cave, tuttavia, mi sono ribellata, anche perché erano le 3:30 e già il mio stomaco, che aveva saltato la cena, vagheggiava amaretti e polli allo spiedo.
Non sono convinta di potercela fare, perché è stato un salasso, tre anni fa, lasciargli me, lasciare che si portasse via il mio tempo, e poi in questi mesi dovermi abituare all'idea che dovevamo riprendercelo indietro, ciascuno il suo, che è una cosa pericolosa per me perché io lo faccio se me lo chiedi, se ne hai bisogno, però poi mi ci abituo. E non so se adesso sarei in grado di lasciarlo di nuovo nelle tue mani; hai fatto un bel casino.
Però vorrei provarci.
Non è come quando, da piccola, ai primi freddi andavo a mangiare le patate americane da Matteo e ci tenevo ad avere sempre il solito posto davanti al caminetto. Non è l'abitudine. Ho riempito le mie giornate di storie e di facce, ti ho quasi dimenticato per un po', e non è servito.
So che molte persone, più o meno sinceramente, si augurano che vada come pare stia andando. Il motivo per cui non dovrebbero farlo è che mi cambierebbe.
Non come ti cambiano le cose della vita, che ti danno una cosa mentre ne tirano via un'altra, ma come ti cambiano i 17 maggio: mi toglierebbe la speranza, la capacità di ridere per arrivare al giorno dopo.
Il motivo per cui non dovrebbero è che non sarei più quella che cinque anni fa correva a prendere due amici in quella via vuota di città a piedi nudi con una gonna sopra il costume. Non riuscirei più a salire in macchina dopo una notte in bianco e mettermi, nonostante tutto, a sorridere perché la prima canzone che sento alla radio è Take it easy.
Can you hear me, Major Tom?
mercoledì 6 ottobre 2010
Avrei dovuto prepararmi psicologicamente, stamattina, quando la giornata è iniziata con la pazza claustrofobica che in ascensore si è aggrappata a me investendomi con l'urlo "Per carità non si appoggi che non ripartiamo più e io voglio sopravvivere!!!" che mi dicono abbia infranto, a Calcutta, il muro del suono.
Infatti.
Mi ha chiamata il Tomtom oggi, e io lo sapevo che mi avrebbe chiamata oggi (ogni tanto i miei poteri mi spaventano), anche perché ai casini piace gozzovigliare in compagnia e giusto domenica sera Marm aveva pensato bene di sbriciolare completamente il mio guscio esterno zen faticosamente costruito nell'ultimo mese e mezzo.
Invece siamo alla redde rationem. Col Tomtom che è alfine tornato, con Marm che è alfine sbottato, e anche con il lavoro e l'università. Tutto adesso.
Perciò io che faccio?
Corro, arredo la casa di braghy, organizzo cene alcoliche e festeggio il compleanno di mio padre, a cui somiglio per molti aspetti del carattere (di solito i difetti), mentre mi è opposto per altre cose, ad esempio nell'essere persona di pochi e saldi interessi, costanti negli anni. Il che lo rende un soggetto terribile per i regali di compleanno, già a partire da quando, a cinque anni, a natale incartavo libri sgraffignati dalla libreria di casa in asciugamani con le iniziali e li mettevo sotto l'albero.
Non so se tutto ciò abbia qualcosa a che fare con lo zen, ma la mia famiglia è una grande fonte di ispirazione, soprattutto per gente che si chiama, che so, Pennac. E come dicevo tempo fa, nel dubbio meglio riderne.
lunedì 4 ottobre 2010
"Ma quanto ci mette a cadere questo furgone?!?!"
(no in realtà una difficoltà l'ho trovata: ad ogni scena mi aspettavo, più o meno, che Fischer si infilasse una maschera di iuta, che il nonno portasse del tè, che mr. Saito li facesse fuori tutti con una katana, o che Arianna si rifiutasse di partecipare per proteggere la creatura che portava in grembo. Questo è ciò che succede a vedere troppi film di Chris Nolan in pochi giorni)
sabato 2 ottobre 2010
Certo poi non ho trovato parcheggio e ho preso la multa per divieto di sosta, ma quella è stata la mia scusa del giorno per brindare.
Etichette: piccole cose, sventure