venerdì 8 ottobre 2010
Day 1, day 1, start over again.
Una nottata in cui cominci a contare i quarti d'ora che poi diventano ore intere e infine alba senza mai chiudere gli occhi, porta alla creazione di una compilation ben lunga. Bowie, Beck, Radiohead, Ben Folds, Deftones, Dave Matthews, Soundgarden... a Nick Cave, tuttavia, mi sono ribellata, anche perché erano le 3:30 e già il mio stomaco, che aveva saltato la cena, vagheggiava amaretti e polli allo spiedo.
Non sono convinta di potercela fare, perché è stato un salasso, tre anni fa, lasciargli me, lasciare che si portasse via il mio tempo, e poi in questi mesi dovermi abituare all'idea che dovevamo riprendercelo indietro, ciascuno il suo, che è una cosa pericolosa per me perché io lo faccio se me lo chiedi, se ne hai bisogno, però poi mi ci abituo. E non so se adesso sarei in grado di lasciarlo di nuovo nelle tue mani; hai fatto un bel casino.
Però vorrei provarci.
Non è come quando, da piccola, ai primi freddi andavo a mangiare le patate americane da Matteo e ci tenevo ad avere sempre il solito posto davanti al caminetto. Non è l'abitudine. Ho riempito le mie giornate di storie e di facce, ti ho quasi dimenticato per un po', e non è servito.
So che molte persone, più o meno sinceramente, si augurano che vada come pare stia andando. Il motivo per cui non dovrebbero farlo è che mi cambierebbe.
Non come ti cambiano le cose della vita, che ti danno una cosa mentre ne tirano via un'altra, ma come ti cambiano i 17 maggio: mi toglierebbe la speranza, la capacità di ridere per arrivare al giorno dopo.
Il motivo per cui non dovrebbero è che non sarei più quella che cinque anni fa correva a prendere due amici in quella via vuota di città a piedi nudi con una gonna sopra il costume. Non riuscirei più a salire in macchina dopo una notte in bianco e mettermi, nonostante tutto, a sorridere perché la prima canzone che sento alla radio è Take it easy.
Can you hear me, Major Tom?
Una nottata in cui cominci a contare i quarti d'ora che poi diventano ore intere e infine alba senza mai chiudere gli occhi, porta alla creazione di una compilation ben lunga. Bowie, Beck, Radiohead, Ben Folds, Deftones, Dave Matthews, Soundgarden... a Nick Cave, tuttavia, mi sono ribellata, anche perché erano le 3:30 e già il mio stomaco, che aveva saltato la cena, vagheggiava amaretti e polli allo spiedo.
Non sono convinta di potercela fare, perché è stato un salasso, tre anni fa, lasciargli me, lasciare che si portasse via il mio tempo, e poi in questi mesi dovermi abituare all'idea che dovevamo riprendercelo indietro, ciascuno il suo, che è una cosa pericolosa per me perché io lo faccio se me lo chiedi, se ne hai bisogno, però poi mi ci abituo. E non so se adesso sarei in grado di lasciarlo di nuovo nelle tue mani; hai fatto un bel casino.
Però vorrei provarci.
Non è come quando, da piccola, ai primi freddi andavo a mangiare le patate americane da Matteo e ci tenevo ad avere sempre il solito posto davanti al caminetto. Non è l'abitudine. Ho riempito le mie giornate di storie e di facce, ti ho quasi dimenticato per un po', e non è servito.
So che molte persone, più o meno sinceramente, si augurano che vada come pare stia andando. Il motivo per cui non dovrebbero farlo è che mi cambierebbe.
Non come ti cambiano le cose della vita, che ti danno una cosa mentre ne tirano via un'altra, ma come ti cambiano i 17 maggio: mi toglierebbe la speranza, la capacità di ridere per arrivare al giorno dopo.
Il motivo per cui non dovrebbero è che non sarei più quella che cinque anni fa correva a prendere due amici in quella via vuota di città a piedi nudi con una gonna sopra il costume. Non riuscirei più a salire in macchina dopo una notte in bianco e mettermi, nonostante tutto, a sorridere perché la prima canzone che sento alla radio è Take it easy.
Can you hear me, Major Tom?
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